![Vola l'inflazione Usa. E sul taglio dei tassi è scontro frontale tra Fed e Casa Bianca](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2024/09/20/1726808991-azigla-ycapkobidaysa.jpeg?_=1726808991)
La fiammata dell'inflazione statunitense a inizio 2025 riaccende la disputa a distanza tra Donald Trump e il numero uno delle Federal Reserve, Jerome Powell (in foto), sul taglio o meno dei tassi di interesse. La crescita oltre le attese dei prezzi al consumo nel primo mese dell'anno (+3% annuo rispetto al +2,9% atteso dal mercato) ha subito scatenato la reazione del neo presidente degli Stati Uniti. «Inflazione di Biden», ha subito tuonato Trump sul suo Truth Social provando ad addossare la paternità dei rincari di inizio anno al suo predecessore. In precedenza il tycoon aveva nuovamente invitato la Federal Reserve ad abbassare i tassi di interesse «di pari passo con gli imminenti dazi». La replica indiretta di Powell non si è fatta attendere, condita da un chiaro richiamo al rischio che i dazi trumpiani spingano più in alto l'inflazione. «Siamo vicini, ma non ci siamo ancora», ha detto Powell riferendosi al target sull'inflazione. La politica monetaria rimarrà quindi restrittiva ed «è possibile che la Fed debba aggiustare i tassi d'interesse in base ai dazi», sulla cui entità ancora non c'è piena evidenza. Nel corso dell'audizione tenuta alla Camera, Powell non ha mancato di riaffermare che lui non si farà da parte, nemmeno se «qualcuno» glielo chiederà (la legge non consente al presidente degli Stati Uniti di rimuovere i componenti del board della Fed).
Aldilà dal nuovo braccio di ferro Trump-Powell, agli occhi dei mercati i riscontri arrivati ieri dall'inflazione inevitabilmente allontanano nel tempo la prospettiva di un taglio dei tassi da parte della Fed. C'è chi arriva ad escludere che da qui a fine anno si materializzi una sforbiciata. «La Fed si asterrà dal tagliare i tassi per un bel po' di tempo andando a tollerare un'inflazione elevata e promettendo che andrà tutto bene», ha tagliato corto Mohamed El-Erian, economista e presidente del Queens' College di Cambridge dopo il rapporto sull'inflazione che ha evidenziato un'impennata anche della componente core, ossia depurata dei prezzi di cibo e benzina, che segna un'accelerazione al 3,3% annuo rispetto al +3,1% atteso con il ritmo di crescita mensile più alto da aprile 2023. Tra le singole voci spicca l'impennata delle uova, salite di ben il 15,2% (più grande incremento dal 2015) e rincari diffusi nei trasporti così come nella sanità. Indicazioni che hanno indotto gli operatori a spostare più in avanti nell'anno, da settembre a dicembre, le attese per il prossimo taglio da parte della Federal Reserve. «I potenziali dazi aggiungono un rischio al rialzo all'inflazione nei prossimi trimestri - argomenta James Knightley, capo economista internazionale di Ing - ma ci sono alcuni segnali incoraggianti che i costi degli alloggi rallenteranno in modo significativo nel corso del 2025 e terranno la porta aperta ai tagli della seconda metà dell'anno».
La reazione dei mercati è stata abbastanza contenuta sull'azionario, mentre i bond hanno prezzato uno scenario futuro più sfidante. Dopo un'iniziale discesa dell'1% circa di S&P 500 e Nasdaq, i principali indici di Wall Street viaggiano a ridosso della parità a un'ora circa dalla chiusura. Il movimento più marcato è stato quello dei Treasury a lunga scadenza, con il bond decennale tornato di slancio sopra il 4,6% segnalando una crescente convinzione del mercato che oltreoceano si assisterà a un costo del denaro a livelli alti più a lungo.
Dopo un iniziale scatto, le pressioni sul dollaro statunitense si sono attenuate con il cambio con l'euro che in serata si è riportato sopra la soglia di 1,04 complici soprattutto le indicazioni relative alla telefonata Trump-Putin con il possibile avvio dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina. Poco mosso l'oro in area 2.930 dollari l'oncia, mentre il petrolio è arrivato a cedere il 3 percento circa.
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