Quarant'anni di buio. Di bambini spariti e mai più ricomparsi, finiti in un oblio senza sogni, giochi, abbracci. Un buco nero dove nessuno li ha cercati abbastanza o addirittura per niente. Permettendo che crescessero e diventassero adulti invisibili.
Parlano anche di questo i dati ufficiali forniti dall'Ufficio del commissario straordinario del governo per le persone scomparse. Dal 1974 al 18 dicembre 2014 sono 1.611 i bambini italiani di cui non si sa più nulla: numeri da brivido, una media di 40 l'anno. Una cifra destinata ad aumentare. Fino all'istituzione dell'ufficio ministeriale, nel 2007, infatti, i minori scomparsi, quando venivano denunciati, erano segnalati alle forze dell'ordine come «genericamente spariti». E una scomparsa generica non fornisce indicazioni sulle abitudini, le conoscenze, lo stato di salute del piccolo, i suoi possibili luoghi di riparo o di fuga. Insomma, poche informazioni per le ricerche che spesso nemmeno cominciavano. O si arenavano alla prima difficoltà. «Ora, grazie a questo ufficio - ci spiegano - non esistono più scomparsi di serie A e di serie B ed è stato eliminato il lasso delle 48 ore di attesa prima di avviare le ricerche dopo la denuncia».
I NUMERI DA BRIVIDO
Sempre l'Ufficio del commissario straordinario del governo per le persone scomparse stima che, in Italia, ogni anno spariscano circa 1.800 minori. «Ma sono tutti stranieri non accompagnati» assicurano. Fra questi ci sono anche minori italiani rapiti da un genitore, che gli esperti non considerano vere e proprie sparizioni. «In questi casi alcuni genitori, al colmo della disperazione, anziché affidarsi alle vie diplomatiche, al ministero della Giustizia e degli Esteri, partono insieme ai loro avvocati, per viaggi della speranza durante i quali sperano di potersi riprendere il proprio figlio sottratto dall'altro genitore. Tutto questo comporta l'allungamento delle pratiche e addirittura vanificare l'operato istituzionale».
Ma tutti gli altri? Quelli che, nel frattempo, sono diventati adulti (almeno dal punto di vista anagrafico) e per i quali non c'è più una priorità, un'urgenza, nelle ricerche? Il dramma della «scomparsa generica» sta anche nel fatto che nessuno può spiegare se ci sono storie a lieto fine, bimbi che poi se ne sono tornati a casa o sono stati ritrovati.
L'IDENTIKIT
«La maggior parte dei bimbi italiani scomparsi oggigiorno è sparita solo per chi denuncia, cioè un genitore a cui l'altro l'ha sottratto andandosene chissà dove impedendogli di vedere il figlio. Oppure ci sono adolescenti con disturbi comportamentali, da trattamento terapeutico, che si allontanano dalle comunità dove li abbiamo portati come minori in difficoltà. È un numero alto, ma di solito vengono sempre ritrovati» spiega un vero esperto di bambini, il presidente del Tribunale dei minori di Milano Mario Zevola, una vita trascorsa a servizio dei piccoli più indifesi. «Nel 1990, però, ci imbattemmo in un bambino scomparso da Milano 12 anni prima, Sebastiano Notarnicola che viveva nel Comasco sotto il nome di Hermann Croci - racconta Zevola - . Sebastiano era stato rapito in corso Vercelli una mattina del 1978 che sua madre, dopo un annuncio trovato sul periodico Secondamano dove una donna offriva abiti per neonati, s'incontrò con quella signora in un negozio. Non sapeva, la mamma, che l'altra, in seguito a una serie di gravidanze isteriche e un desiderio di maternità inappagato, era ormai psicolabile. E appena le fece tenere in braccio il bimbo, quella scappò via. Nonostante Sebastiano provenisse da una famiglia numerosa e di povera gente, la denuncia alle forze dell'ordine venne fatta. Immediatamente. Però sa come lo ritrovammo? Solo quando la falsa madre, che non si decideva a iscrivere il bambino a scuola, 12 anni dopo non riuscì più a nascondere di non possedere un atto di nascita e allora cominciammo a pensare a una sottrazione. La denuncia la trovammo dove giaceva, in un ufficio investigativo. E ci stupimmo molto che, in tutti quegli anni, non fosse stata diffusa la notizia, che non ci fosse alcuna attenzione intorno alla vicenda. Oggi non potrebbe più succedere».
Maria Rita Parsi è scrittrice, psicologa e psicoterapeuta esperta nell'infanzia. Come membro attivo della Commissione del comitato Onu di Ginevra per i diritti dei fanciulli e delle fanciulle si chiede come siano diventati questi scomparsi. «Forse bisognerebbe fare una riflessione, un passo indietro, costituire una commissione per ricostruire tutte queste vecchie storie. A fronte di un'attenzione mediatica quasi esasperata su casi di bambini scomparsi nel presente, stride questo silenzio sul passato sul quale urge aprire uno squarcio, ritornando almeno sulle indagini più eclatanti. Stiamo ancora a chiederci che fine ha fatto lo scienziato Majorana o il professor Caffè e non pensiamo a questi bambini - che sicuramente bambini non sono più ormai - a che fine hanno fatto. Chi tra loro è ricomparso? E dove? Possono essere anche in altri Paesi o qui, vittime della devianza, del malaffare. Ora si denuncia sempre. I bambini possono allontanarsi da casa per problemi psicologici, per controversie con i genitori o perché incontrano il male nelle sue molteplici forme. Ma si sa tutto abbastanza in fretta: il benessere dei bambini appartiene alla comunità, i minori sono di tutti».
«Dobbiamo comunque fare qualcosa anche per chi la sua infanzia non l'ha potuta vivere - conclude la Parsi -. E smettere di sottovalutare la sofferenza di quel genitore che si vede sottratto un figlio da un altro: secondo la mentalità comune se un bambino non sta con un genitore e non vede l'altro non è poi così dura. Come sempre chi non vive certe esperienze in prima persona non ne giustifica il dolore».
I ROM
Il presidente del Tribunale dei minori Zevola non crede a «favole metropolitane» come quella dei piccoli italiani rapiti per il traffico di organi o per avviarli alla prostituzione. E nemmeno alla storia dei bimbi «argati», cioè che vengono rapiti dai rom alla famiglia d'origine e poi mandati a rubare. Anzi: è convinto che ci sia, come dev'essere, una grandissima attenzione nei confronti dei minori. E qualche complicazione. Mai eccessiva però. «Due genitori si sono rivolti di recente a me perché non possono portare la loro figlia adottiva in vacanza in Sud Africa.
Dall'1 giugno 2014, infatti, in quel Paese, il bambino non entra se chi lo accompagna non ha una copia integrale tradotta del suo atto di nascita, un documento che attesti insomma con assoluta certezza l'identità del piccolo ma anche la relazione con le persone che lo accompagnano. Se tutti i Paesi si comportassero allo stesso modo la movimentazione dei bambini sarebbe molto controllata, non crede?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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