Fieri di essere una voce di parte. Ieri minacciati, oggi maggioranza

Cosa significava schierarsi 50 anni fa: si rischiavano le botte. Oggi si prosegue con una tradizione importante

Alessandro Sallusti
Alessandro Sallusti
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Come direttore pro tempore - al pari di tutti i direttori - ho l’onore di firmare il numero del cinquantesimo compleanno del Giornale. È molto probabile che per questo Indro Montanelli e la straordinaria squadra dei fondatori si stiano rivoltando nella tomba, ma li tranquillizzo: i direttori passano, lo spirito originale vive identico nella redazione dove - come in una staffetta - si sono tramandati di generazione in generazione i valori e la visione originaria.

Per questo dico senza alcun dubbio che quella di oggi è innanzitutto la festa delle centinaia di redattori, collaboratori, tipografi e impiegati che in tutti questi anni hanno scritto, confezionato e prodotto il Giornale per «l’unico nostro padrone», come scrisse Montanelli nel primo articolo di fondo, che è il lettore.

Fuori di retorica, è ovvio che un giornale abbia bisogno di un finanziatore, altrimenti detto editore, con spalle robuste. E noi lo abbiamo avuto, prima nella famiglia Berlusconi e oggi nella famiglia Angelucci, che non hanno lesinato il necessario, pur conoscendo il famoso teorema che recita: «Ci sono tre modi principali per perdere denaro: vino, donne e giornali. I primi due sono i più piacevoli, il terzo il più certo». Li ringraziamo per tre motivi. Il primo, senza ipocrisia: per aver permesso a noi di realizzare il nostro sogno e alle nostre famiglie di arrivare non male a fine mese; il secondo: per aver avuto la sensibilità di capire che il Giornale o è questa cosa qui immaginata dai fondatori o non ha senso di esistere; il terzo, e più nobile: perché l’informazione, nella sua polifonia, è l’architrave su cui si regge la democrazia e, quindi, non ha mai un prezzo eccessivo.

Certo, siamo stati e siamo un giornale di parte e, a differenza di altri, lo abbiamo sempre rivendicato. Lo siamo perché profondamente convinti che il termine super partes, tanto di moda, sia tra i più grandi inganni della storia, una bugia da cui stare alla larga. Diffidiamo di un uomo che si dice neutrale, sta mentendo: o credi in Dio o sei ateo, o sei etero o gay, c’è chi vota a destra, chi a sinistra e chi è anarchico, chi tifa Milan e chi Inter. Insomma, un uomo vive delle e per le sue idee e parole o non vive più e noi, per dirla alla Totò, modestamente delle nostre vivemmo, indipendentemente dal valore e dalla bravura di chi, in questi cinquant’anni, le ha rappresentate a livello politico, culturale, istituzionale.

Abbiamo già avuto l’occasione di scriverlo: cinquant’anni fa a girare per la città con in mano il Giornale si rischiavano insulti e botte. Oggi, i sopravvissuti di quella stagione e i loro eredi sono gli italiani che eleggono primi ministri e governi, le loro istanze diventano leggi perché democraticamente maggioranza nel Parlamento italiano e in quello europeo e nuove buone stagioni si intravvedono arrivare dall’orizzonte. Come dire, il tempo è stato galantuomo e nel nostro davvero piccolo siamo orgogliosi di aver contribuito affinché questo tempo non passasse invano.

Ovviamente grazie a Indro Montanelli per il coraggio che ha avuto

e grazie a Vittorio Feltri, che a lui succedendo – impresa apparentemente impossibile – nel 1994 ha salvato il Giornale, permettendo tutto ciò che è venuto dopo e a noi di ricordare questo cinquantesimo della fondazione.

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