In molti salotti milanesi c’è aria di resa. In altri compiacimento. Le madri sono solidali con i figli, assidui frequentatori dei cortei extraparlamentari. L’esaltazione di Berlinguer non ha più limiti: ora lo trovano non solo intelligente, ma anche bello. Tutto questo perché le elezioni amministrative del 15 giugno hanno fatto registrare un balzo in avanti del Pci del 6,5%. Un altro dolore per Montanelli, che ha molto patito in questi giorni la rottura della sua vecchia amicizia con Ugo La Malfa. Il segretario del Pri ha «aperto» ai comunisti e favorisce il loro inserimento nell’area governativa. Montanelli non glielo perdona. La lite ha assunto toni accesi e convulsi, inevitabili in due temperamenti forti e passionali come i loro. (...) Alla Same continuano gli scioperi e i tagli di tiratura. Sempre più frequenti le telefonate anonime terroristiche: «Ho messo una bomba nel palazzo. Sta per esplodere». La bomba non c’è mai, tanto che ho ormai smesso di sfollare. Ma il lavoro viene interrotto per ore, la confusione e la tensione aumentano. Ci aspetta insomma un inverno lungo e difficile.
L’altra sera, sul tardi, è venuto a trovarci Nicola Dioguardi, il famoso clinico nostro collaboratore ed amico. Montanelli era in un momento di sconforto. Dioguardi lo ha intuito, ha preso un foglio e lo ha incollato sulla parete dietro la scrivania. Sul foglio aveva scritto: «Quanto più la notte è profonda, tanto più l’alba sarà luminosa». In realtà la notte è profonda e l’alba è lontana. Non ci rimane che il coraggio dell’immaginazione.
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25 settembre 1975. Questo giornale non è più solo un lavoro, un impegno, una passione: è ormai un’ossessione. Siamo insieme dal mattino a mezzanotte e poi, ancora, al ristorante per parlare di lavoro. Non si fanno vacanze, la famiglia è passata in secondo piano. Qualche notte Montanelli ed io non chiudiamo occhio per pensieri e preoccupazioni segrete, che teniamo per noi. Certo, si discute, si disputa, si litiga; gli impeti, le speranze, le frustrazioni, i dubbi, i cedimenti sono sentimenti umani, e quindi non estranei al nostro gruppo. Ma sempre prevale la volontà di battersi, di non cedere, di sopravvivere, di vincere la nostra battaglia. Quanto durerà questo slancio generoso? Non lo so, è impossibile dirlo: per ora dura. Quando usciamo, andiamo a controllare le edicole per vedere se il Giornale è bene esposto, e guardiamo con ansia quali giornali hanno in mano o in tasca i passanti.
Se uno ha il Giornale lo avvicina: «Grazie di leggerci», gli dice. E io, se vedo un amico o un conoscente con un quotidiano che non sia il nostro, provo una leggera fitta al cuore. Non è più solo passione: è quasi una malattia.
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