"Siamo noi i veri islamici e abbiamo già preso Roma"

Tre giorni con il movimento islamico dei Tabligh Eddawa: "L'islam moderato non esiste. Ecco il vero islam che predichiamo ai musulmani italiani"

"Siamo noi i veri islamici e abbiamo già preso Roma"

“Roma è già musulmana”. Quando inizia l’intervista con Saydawi Hamid, la guida di una comunità del movimento islamico radicale dei Tabligh Eddawa, gli altri componenti del gruppo stanno dormendo distesi in moschea. Sanno che l’imam parlerà anche per loro. Fa un certo effetto sentir dire che l’Italia “è stata conquistata, perché abbiamo una grande moschea, perché possiamo predicare liberamente la nostra fede” (guarda il video). E il sorriso sul volto del nostro interlocutore tradisce il fatto che conosca l’effetto delle sue parole. Ma non è una provocazione: poter predicare il Corano in Occidente è a tutti gli effetti una vittoria.

Il Corano, quel libro sacro la cui diffusione, a ragione, ci spaventa: cinquecento morti in Europa uccisi nel nome di Allah non si dimenticano. Non si possono dimenticare. Vittime della religione musulmana? No - ci hanno sempre assicurato - solo carne da macello di estremisti che “non praticano il vero islam”. È davvero così? E allora qual è l'islam “giusto”? Quello del Califfo, quello iraniano o quello predicato nei centri islamici italiani? Esiste davvero la sua versione “moderata”? Vivere tre giorni insieme a questa comunità di musulmani radicali (tra preghiere, pranzi e notti in moschea), forse, non ci ha fornito tutte le risposte. Ma è un buon punto di partenza. Visto che i Tabligh rappresentano, o dicono di rappresentare, l’unica vera strada per il Paradiso. (Tre giorni con i Tabligh Eddawa: guarda il video)

"Ecco il vero islam"

“Per ogni aspetto della società - spiega Hamid - l'islam impone una precisa legge”. E loro la applicano. La sera, dopo il calare del sole, leggono il Riyad al-Salihin, il libro dove sono spiegate tutte le regole formali e di comportamento. Quando si dorme in moschea, per esempio, i piedi non devono mai essere rivolti verso la Mecca e il sacco a pelo va purificato con lunghi rituali. Per tagliarsi le unghie, bisogna partire dal dito più esterno e poi seppellirle “perché sono una parte del corpo donata da Allah”. È questa la Sunna: il dettagliato codice di comportamento che ogni fedele è chiamato a seguire. L’unica via dettata dal Profeta. E se la Sunna è una, allora anche l’islam non può che essere unico: “Tutti dovrebbero diventare Tabligh - dicono - perché tutti devono seguire la strada indicata da Maometto”.

Così, se dovessimo sintetizzare i principi dei Tabligh lo faremmo con una parola: sottomissione. Ad Allah, al Profeta e alla legge coranica. Non a caso, per spiegare la relazione tra uomo e Dio, Hamid usa una metafora quanto meno curiosa: “L’uomo riesce a stare in piedi solo grazie alla cacca che ha nello stomaco: cosa può essere quindi di fronte a Dio se si regge solo grazie alla sua cacca?”. E se questi sono i pressuposti, la spiritualità Tabligh non può che essere totalizzante, avvolgente e granitica. Una fede che Hamid non ha esitazione a definire “l’unica religione naturale dell’uomo”. Non il cristianesimo. Non altri credo.

E infatti, quando in moschea provo parlare di Gesù come “figlio di Dio” e non solo semplice profeta, scende un gelido silenzio. Il più anziano balbetta alcune preghiere a bassa voce, come ad esorcizzare la mia “bestemmia”. L’imam mi guarda dritto negli occhi e sussurra: “Come fai a credere a queste fantasie?”. “Quando tornerai all’islam - ringhia di fianco uno dei compagni - non lo penserai più”. Non c’è cattiveria nelle loro parole, eppure nessun cristiano si sarebbe permesso di considerare “fantasie” i dogmi islamici. O almeno non di fronte a un fedele. Per un musulmano itinerante, invece, tutto quello che esce dai rigidi sentieri del Profeta è senza senso, perde di significato, è un “errore” rispetto alla “verità” islamica. Tanto da considerare assurdo che qualcuno non voglia accogliere il messaggio coranico.

Talmente inconcepibile che, conclusa l’abluzione e la vestizione con gli abiti tradizionali per la foto di rito, il più anziano del gruppo mi invita a pronunciare le parole di conversione: “Ora devi dire: ‘Allah è grande e Maometto è il suo profeta”. Io declino gentilmente l’offerta e lui, dispiaciuto, scoppia a piangere. Versa lacrime che dimostrano la forza con cui sono permeati dalla fede in Allah, una spiritualità largamente più radicata della nostra.

E se è vero che un popolo senza spiritualità muore o viene sostituito, si capisce perché i musulmani affermino che “l’unico vero islam” ha “conquistato Roma”. Se non è già così, sono a buon punto.

1. Continua

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