Anche i colossi hanno accettato la sfida: aziende come Poste Italiane, Inps, Eni hanno svuotato i loro grattacieli e lavorato con i dipendenti a casa. Ed è proprio Eni ad aver cavalcato lo smart working ante pandemia. Esattamente dal 2017. Nelle prime fasi sperimentali lo smart working, utilizzato principalmente come strumento a supporto del welfare aziendale, è stato concesso, fino ad un massimo di due giorni a settimana, ai neo genitori, ai genitori con figli in condizioni di disabilità e ai dipendenti con particolari patologie. Sulla base dei risultati positivi di queste prime applicazioni, lo smart working è stato esteso, secondo logiche organizzative, dapprima a tre società controllate poi, sulla base di un'ulteriore conferma dei risultati positivi, a tutti i dipendenti che operano nelle sedi uffici di tutto il territorio nazionale.
Più facile da immaginare il salto allo smart di Twitter o dei big della rete. Facebook ha annunciato che nei prossimi 5-10 anni il 50% dei dipendenti del gruppo avrà la possibilità di lavorare in full smartworking, a seconda delle loro preferenze e possibilità. È seguita subito dopo la comparsa di un annuncio su Linkedin, dove si diceva che l'azienda era alla ricerca di una persona a cui assegnare il ruolo di Remote Work Director.
In Italia, invece, a mostrare un interesse sono stati Subito e Infojobs, società di proprietà di Adevinta, gruppo internazionale specializzato in gestione di annunci online. Fineco, banca online con circa 1.
200 dipendenti, ha usato il lavoro da remoto già prima dell'esplodere del virus. Aziende di varia natura, da Ferrero a Leonardo, hanno colto la sfida dei nuovi modelli lavorativi, WindTre ha persino fornito gratuitamente sedie ergonomiche ai suoi dipendenti.
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