Per annebbiare la realtà della defenestrazione politica del generale Speciale da parte del viceministro Visco si evoca ancora una volta la brutta favola della P2, ormai divenuto un mito buono per tutti gli usi, specialmente se volti a confondere le idee. Non ci occupiamo di Furio Colombo che ha dato sfogo alla sua fertile fantasia di giallista quando ha rivelato sull'Unità che alla parata del 2 giugno con il saluto del generale Speciale a Berlusconi «si sono saldate parti importanti della P2». E che il suddetto comandante della Guardia di finanza è il degno erede dei golpisti principe Borghese e generale De Lorenzo.
Intendiamo invece tranquillamente riflettere sulle più sofisticate elaborazioni di Repubblica a proposito di un «nuovo network del potere occulto e trasversale con caratteristiche autonome» (quindi non di destra né di sinistra) che collegherebbe in un unico disegno i casi Telecom, Antonveneta, Unipol, Guardia di finanza e addirittura Calipari. Anche se cominciamo a preoccuparci perché sulle nostre teste aleggerebbe una terribile spectre che condizionerebbe i partiti di maggioranza e di opposizione, entrambe conniventi e colpevolmente succubi.
Non siamo così ingenui da ignorare che vi sono lobby, gruppi di potere e cordate che attraversano il mondo economico, politico e militare. Ma per formulare un atto di accusa sul grande complotto che starebbe minando la Repubblica come fa Giuseppe D'Avanzo su Repubblica sarebbe forse più illuminante se si citassero fatti specifici, si portassero prove certe, si evidenziassero connessioni e causalità che collegano casi così disparati. Altrimenti si cade nella facile cialtroneria.
È perciò utile formulare qualche domanda per meglio scavare nella tesi complottistica. Quale puparo della nuova P2 avrebbe comandato al generale Speciale e ai suoi subordinati le inchieste in questione? E se riguardavano l'Unipol, rientravano o no nei compiti istituzionali della Guardia di finanza? Perché il caso Calipari fa sistema con le intercettazioni su Unipol/Bnl e Antonveneta/Bpi? Come mai i reati emersi alla Telecom security sono stati perseguiti senza che il potentissimo network, che sembra facesse capo all'ex capo del Sismi Nicolò Pollari, lo impedisse? Che c'entra Abu Omar con i labirinti bancari? Si vuole forse dire che la testa del serpente è sempre negli Stati Uniti?
Gli interrogativi potrebbero continuare, ma non ne vale la pena. Perché dietro queste acrobazie neo-piduistiche v'è - come 25 anni fa dietro l'interpretazione sovversiva del cosiddetto «piano di rinascita nazionale» della P2 - soltanto la passione per la teoria del complotto, utile ogni volta che non si vuole capire come stanno le cose, non si vuole trovare chi effettivamente ha responsabilità specifiche, e non si vuole portare alla luce il ruolo, positivo o negativo, di questo o quell'atto politico.
Sembra che il complottismo torni di moda come vizio nazionale, come accade in tutti i momenti di decadenza. Così i grandi indagatori, per esempio Marco Travaglio, Giulietto Chiesa e compagni, non saranno disoccupati. Se poi si possono infarcire le storie con un po' di servizi segreti, meglio se deviati, e intrecciarle con la massoneria, meglio se occulta, tutto quadra e possiamo stare tranquilli perché finalmente si è individuato a chi addossare le cause del degrado nazionale.
Ci dispiace deludere i complottomani che ieri sostenevano che l'11 settembre era una congiura ebraica e oggi che l'abuso di un viceministro della Repubblica non è un episodio di brutale spoil system ma solo la giusta reazione a una network di pericolosi complottatori. Non ci stiamo. Vogliamo discorsi chiari, responsabilità ben individuate e rispetto delle istituzioni, come si conviene a uno Stato che dovrebbero essere di diritto.
Massimo Teodori
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