Addio a Ben Gazzara il bravo ragazzo che faceva il gangster

Addio a Ben Gazzara il bravo ragazzo che faceva il gangster

Non era un divo, lo sapeva bene e non gliene importava un fico. Eppure era un grande attore Ben Gazzara, scomparso venerdì a Los Angeles per un tumore al pancreas. Aveva compiuto in agosto ottantun’anni, quasi cinquanta dei quali trascorsi sul set. Bella faccia, espressiva, un po’ strafottente, lo sguardo da pigliaingiro, non certo la fisonomia del gangster che fu costretto a interpretare per buona parte della lunga carriera. Nato a New York da genitori emigrati dalla siciliana Canicattì, Biagio Anthony Gazzara crebbe fra i teppisti, fortunatamente staccandosene, appena sentì, giovanissimo, il richiamo del palcoscenico. Fu proprio colpa del teatro se abbandonò l’università per iscriversi all’Actor’s Studio, tra colleghi magari meno bravi ma destinati a diventare più famosi.
A Broadway recitò in molti ruoli, il più celebre quello del fragile Brick Pollitt in La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams, poi portato sullo schermo da Paul Newman. Ma era già tempo di Hollywood. L’esordio nel cinema avvenne nel 1957 in un dimenticabile film di tale Jack Garfein, con un titolo (tradotto) da scongiuri: Un uomo sbagliato. Invece Gazzara era giustissimo per il cinema, come dimostrò nella pellicola successiva, il dramma processuale Anatomia di un omicidio di Otto Preminger, dove impersona l’aggressivo tenente dell’esercito Manion, reo confesso dell’omicidio dell’uomo che gli ha violentato la moglie.
Al terzo film, girato nell’Italia dei suoi genitori, bisogna togliersi definitivamente il cappello. Anche se, chissà perché Risate di gioia, diretto da Monicelli nel ’60, fu un flop clamoroso. E dire che nel trio dei protagonisti c’era anche la straordinaria coppia Totò-Anna Magnani. Gazzara è il cinico borseggiatore di bassa lega Lello, che, rimasto senza complici, fa innamorare la candida, non più verde comparsa di Cinecittà Tortorella (la Magnani) per tenergli inconsapevole bordone nel furto con (scarsa) destrezza in casa di certi ricchi americani. Così lei, all'uscita da Regina Coeli, invece del grande amore svanito, troverà il fedele collega di varietà Infortunio (Totò). Una decina d’anni e di film senza particolari squilli (come il bellico Il ponte di Remagen) e nel ’70 ritroviamo il Gazzara del nuovo corso in Mariti, diretto da John Cassavetes e intepretato dall’autore e da Peter Falk, un trio di amiconi nella vita, che ebbero critiche entusiastiche sui giornali e incassi così e così in sala. Ancora con Cassavetes, in veste di regista, gira nel '76 il cupo pseudothriller L’assassinio di un allibratore cinese, in cui è l’italo-americano Cosmo Vitelli, proprietario di un night, che, perduti in una bisca 23mila dollari, si sdebita con un delitto mafioso. L’anno dopo conclude il trittico di Cassavetes nel tristissimo La sera della prima, dove il suo personaggio, come tutti i ruoli maschili, sono schiacciati dalla magnifica Gena Rowlands.
L’amore per la seconda patria lo richiama sempre più spesso a Roma, dove recita per Ferreri (Storie di ordinaria follia), Festa Campanile (La ragazza di Trieste, e Uno scandalo per bene), Bevilacqua (La donna delle meraviglie). Finché, nell’86, è il protagonista del film di un promettente debuttante, Giuseppe Tornatore, Il camorrista, con evidente riferimento a Raffaele Cutolo. Gazzara disegna da par suo il Professore, beffardo detenuto modello, con licenza di fare i propri comodi, che da Poggioreale ordina omicidi, corrompe politici e industriali, autentico precursore di Tangentopoli.

Ancora due film italiani (il fantascientifico Il giorno prima di Montaldo e l’idilliaco Don Bosco di Leandro Castellani, dove con una miracolosa conversione abbraccia la santità) e l'ultimo volo di ritorno negli Usa. Tanti film, anche per la tv, fino all’ancora inedito in Italia Ristabanna, e ruoli sempre più marginali. Il meglio ormai l’aveva già dato.

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