Addio alla Serbia, da domani Kosovo indipendente

Il Parlamento di Pristina pronto a proclamare la secessione. Belgrado: "Noi difenderemo con ogni mezzo la nostra sovranità". Thaci: "Tuteleremo tutti" Le forze Nato sono in allerta: il rischio di scontri tra le due etnie resta alto

Addio alla Serbia, 
da domani 
Kosovo indipendente

Questa volta nessun ripensamento: il Kosovo domani proclamerà l’indipendenza. E il mondo non resterà a guardare. La Serbia annuncia un’opposizione durissima, sebbene senza ricorrere alla forza; la Russia è furiosa; l’Unione europea, tanto per cambiare è divisa; gli Usa favorevoli. E molti temono l’effetto domino: se agli albanesi dell’enclave serba viene concesso di staccarsi contro la volontà di Belgrado, in futuro chi potrà negare lo stesso diritto alle regioni nell’Eurasia che sognano la secessione?
Sembra una nemesi storica. Il vento separatista che turbò l’Europa dopo il crollo del Muro di Berlino, si alzò proprio nell’ex Jugoslavia e si placò nel 1999 dopo l’intervento militare della Nato in Kosovo. Quasi nove anni dopo proprio da questa terra potrebbe rialzarsi, con ripercussioni imprevedibili.
Ieri mattina il Parlamento kosovaro ha approvato una mozione che permetterà ai deputati di adottare, domani pomeriggio, il pacchetto di leggi che sancirà l’indipendenza. Alle 18, è previsto il voto finale; subito dopo il premier Hasim Thaci, ex capo della guerriglia antiserba, terrà una conferenza stampa; poi via ai festeggiamenti, a cui però i 120mila serbi che ancora vivono nella provincia non parteciperanno. Il governo di Pristina assicura che tutelerà le minoranze e «impedirà discriminazioni». Inutilmente. Ieri l’associazione delle municipalità serbe ha annunciato la creazione di un proprio Parlamento in contrapposizione a quello kosovaro.
Tutti gli occhi sono puntati su Mitrovica, la città sul fiume Ibar dove convivono le due etnie. Secondo indiscrezioni, i poliziotti serbi domani potrebbero chiudere il ponte. Il rischio è che si scatenino disordini e per questo le forze della Nato sono in allerta. L’Italia mantiene nella regione 2300 soldati, tra cui 550 alpini del 7° reggimento di Feltre della brigata Julia dislocati proprio a Mitrovica.
Belgrado ha promesso che non getterà benzina sul fuoco. «Non smetterò mai di lottare per il nostro Kosovo e mi batterò, con tutte le mie forze, perché la Serbia entri nell’Ue», ha dichiarato il presidente Boris Tadic, che vive ore di grande imbarazzo. In cuor suo sa di non poter impedire la secessione, ma non può ammetterlo, al contempo non può essere troppo duro con Bruxelles. Così si barcamena. Fa dire al suo ministro degli Esteri Vuk Jeremic che verranno usate «tutte le misure diplomatiche, economiche e politiche per respingere questo attacco alla sovranità nazionale». In serata annuncia che abbasserà il livello delle relazioni diplomatiche con tutti i Paesi che riconosceranno il Kosovo, ma precisa che non si spingerà fino alla rottura dei rapporti. E intanto deve fare i conti con le pressioni di Mosca, protettrice storica dei serbi.
Giovedì Putin aveva definito il sostegno occidentale ai secessionisti di Pristina un atto «immorale e illegale» e aveva accusato l’Europa di applicare doppi standard, consentendo al Kosovo quel che viene negato ai turcociprioti. «Abbiamo già pronto un piano», aveva annunciato il presidente russo che tra breve lascerà la presidenza a Dmitri Medvedev. Un piano che il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ieri ha precisato, annunciando «una correzione della linea nei confronti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud», le due regioni separatiste georgiane, abitate a stragrande maggioranza da russi. Dunque più aiuti economici-finanziari e, in prospettiva, un sostegno convinto ai leader indipendentisti, in aperta sfida al presidente di Tbilisi Mikhail Saakashvili, l’amico degli americani.
L’Unione europea snobba le critiche del capo del Cremlino, anche perché ufficialmente si limiterà a prendere atto dell’indipendenza del Kosovo, dove invierà duemila osservatori civili. Singolarmente, però, la maggior parte dei ventisette Paesi Ue riconoscerà il nuovo Stato, a cominciare da Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna. Sei Paesi invece non lo faranno: Grecia e Bulgaria per solidarietà religiosa con i «fratelli» ortodossi serbi, mentre Cipro, Spagna, Romania e Slovacchia per timore di un effetto domino sulle proprie minoranze etniche o linguistiche.

Tutti e sei avanzano pesanti riserve morali: il Kosovo in realtà si fonda su istituzioni evanescenti, dominate dai clan malavitosi, che hanno trasformato la regione nella raffineria europea della droga e nello snodo di traffici illegali di ogni tipo. Riserve tutt’altro che infondate.

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