Dunque Giulio Tremonti ha detto che è ora di mettere mano alla grande riforma del sistema fiscale. I motivi non mancano: è vecchio, pensato per un’altra epoca, gli anni Sessanta e Settanta, penalizza le famiglie con i figli, le piccole e medie imprese e, in generale, chi voglia creare qualcosa in questo Paese senza dipendere dallo Stato. È svelto nell’acchiappare e lento nel restituire quando sbaglia (vedi le cartelle pazze), è complicato e fa perdere tempo ai contribuenti. Soprattutto è troppo esoso: prende tanto, restituisce poco e spesso male. Non bisogna mai dimenticare che da noi il 30 per cento dei soldi che circolano sono gestiti direttamente dai privati e il 70 per cento, direttamente o indirettamente, dallo Stato. Negli Usa è il contrario: 70 in mano ai privati e 30 in mano allo Stato. In alcuni Paesi europei ci si avvicina al 50-50. Dopo la crisi le cose sono cambiate anche in questi Paesi, ma per una congiuntura. Da noi questa situazione è la normalità da troppi anni, decenni.
Il nostro ministro dell’Economia non è nuovo nell’architettare riforme del sistema fiscale. Anni fa sostenne che i passaggi da far fare, in Italia, al sistema delle tasse erano tre.
Il primo era farle passare dal centro alla periferia, cioè far sì che le tasse venissero spese il più possibile là dove erano raccolte, il federalismo fiscale. Passi ne sono stati fatti ma moltissimo rimane da fare. «Appena si parla di questo in Italia c’è subito qualcuno che chiede come faranno le regioni povere. Nessuno si chiede come facciano i cittadini delle regioni ricche a sopportare il peso fiscale che sopportano vedendone tornare indietro una parte esigua, neanche il 50 per cento. Lo sanno costoro che se le parti ricche del Paese sono troppo tartassate finiscono per produrre di meno e che, dopo, va peggio per tutti?.
Il secondo passaggio da far attuare al nostro sistema è quello di farlo passare dal prelievo sulle persone a quello sulle cose. Dai redditi ai consumi. Perché? Proprio per consentire ai redditi di essere più cospicui e spandere di più le casse sui consumi e non sempre sui soliti noti, per così dire. L’economia va se i redditi vanno. Se no non va nulla.
Il terzo passaggio, infine, fu indicato da Tremonti in quello che andava compiuto dal complicato al semplice. Qui non occorre spiegare un bel niente perché il lettore contribuente sa bene di cosa parliamo. Ma è possibile che i cittadini italiani per pagare le tasse debbano spendere? Possibile che per compilare i moduli debbano ricorrere ad un professionista? Badate che se i cittadini non capiscono quel che c’è scritto nelle leggi e nei regolamenti la colpa è sempre e comunque dello Stato, mai dei cittadini.
Non conosciamo ancora i contenuti precisi della riforma che ha in testa Tremonti, ma certamente questi sono passaggi che ci saranno. Ci permettiamo di indicarne altri due che sono quanto mai necessari e dovuti.
Il primo è quello dalla logica del sacrificio a quella del beneficio di cui il ministro sa bene e di cui scrisse bene un suo collaboratore, Giuseppe Vitaletti. La logica del sacrificio è quella secondo la quale il cittadino versa come su di un’ara le sue tasse al dio-Stato che, in totale autonomia, decide cosa farne. Non ci sono neanche oracoli da interpellare.
La logica del beneficio, quella alla quale i cittadini hanno il sacrosanto diritto è quella - viceversa - secondo cui il cittadino deve essere messo al corrente dello Stato stesso, dalle Regioni e dai Comuni, di dove vanno a finire quelle tasse, che uso se ne fa, quali servizi vengono lui offerti in cambio di quello che ha dato. Oggi è nebbia nel modo più assoluto. Nel passato per questo successero delle rivoluzioni, per il semplice fatto che si tratta di un diritto fondamentale dei cittadini come quello di essere informati sulle tasse che lo Stato incamera e sul come le spende.
Infine si dovrebbe passare dalla logica dello Stato che spende e poi tassa per pagare le spese che ha fatto, a quella di uno Stato che preleva dalle tasche dei cittadini il giusto e poi spende in relazione a quel che ha raccolto. Un po’ come le famiglie. Un po’ come tutti noi mortali contribuenti che, ogni mese, ci sentiamo sempre più mortali per le botte che prendiamo dal Fisco. Questo non si può fare subito e tutto in un passo. Come tutti i vizi incalliti ci vuole tempo. Ma, esattamente come nei vizi incalliti, se non si comincia mai la situazione peggiora sempre di più e in Italia è già così: la fiscopandemia è già diffusa, molto diffusa. Il reddito dei cittadini deve essere rispettato come le persone che lo hanno prodotto e alle quali appartiene. Lo stesso vale per le imprese e per il mercato che non possono essere espropriati senza una regola, senza un limite. Regola e limite sono un obbligo assoluto per lo Stato.
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