Il più recente è le Trottoir di piazza XXIV maggio, storico ritrovo di artisti e intellettuali che giovedì abbasserà la serranda per lasciare il posto ad un'osteria. A dicembre anche la pasticceria San Gregorio a Porta Venezia, dopo 80 anni di onorato servizio sarà costretta ad abbassare le serrande. «L'affitto annuale è di 200mila euro e non riusciamo a sostenere rincari per il rinnovo del contratto» spiegava il titolare Angelo Bernasconi. Fino ad arrivare ai più recenti, ma non meno iconici Pandenus e Swiss Corner accomunati dall'impossibilità di portare avanti la propria attività schiacciati dai costi di affitto arrivati ormai alle stelle.
A fine 2023 in città si contano 1.364 negozi in meno rispetto a fine 2018, quando le imprese del commercio al dettaglio attive erano 18.981. Ognuna di queste attività è giunta a scadenza di contratto e a tutte, o quasi, è stato chiesto almeno il doppio di quanto avessero speso finora. Le cause del fenomeno vanno ricercate nel 1998, con il decreto Bersani che riforma il commercio prevedendo come, nei locali fino a 250metri quadri di superficie, di aprire un qualunque tipo di attività senza più dover chiedere la licenza, aprendo di fatto alla concorrenza. «Con la liberalizzazione - spiega Marco Zanardi, dirigente e responsabile delegato per l'ufficio studi di Fimaa Milano - ognuno poteva aprire dove voleva e dunque la ricerca del locale non era più veicolata all'attività. Il valore delle attività è così crollata». Per fare un esempio, «per avere una stima del valore di una attività di bar tavola calda si moltiplicava il fatturato per 180%, oggi lo si moltiplica per 50 o al massimo 80%, compreso di attrezzature e arredamento. I piccoli negozi hanno quindi cominciato a perdere valore, cannibalizzati da supermercati e centri commerciali». Tradotto: attualmente non si vende più l'attività, ma la posizione delle mura. Questo sistema ha fatto sì che certi brand e attività si siano concentrati sulle vie più redditizie, facendo lievitare gli affitti.
«A Milano -osserva Zanardi- i locali commerciali di proprietà di privati, in strade come Buenos Aires, via Torino, corso Vercelli o corso XXII Marzo, hanno canoni che oscillano tra 15mila e 50mila euro al mese: cifre importanti, che non tutti riescono a sostenere, ecco perché ci si trovano sempre le stesse insegne di grandi catene che spesso non realizzano neanche guadagni troppo alti ma non possono non esserci».
Nelle altre vie, i piccoli negozi di vicinato chiudono, sotto il peso dei rincari di materie prime e costi energetici e per un passaggio che via via nel tempo si è sempre più assottigliato a causa della mancanza di parcheggi o perchè ormai tutto si trova nella grande distribuzione o nei centri commerciali.
«La rete delle attività di vicinato, le imprese storiche, vanno salvaguardate perchè hanno un valore sociale oltre che economico rileva Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza ed il problema degli affitti va affrontato con decisione trovando soluzioni (dal fisco, alle risorse, al dialogo con le istituzioni) che consentano alle imprese di poter restare sul mercato. Come è importante che prosegua lo sviluppo della multicanalità con le vendite sia sul luogo fisico sia online: ed abbiamo gli strumenti per supportare le imprese».
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