Il compito di un ricercatore, spesso è oggetto di ingratitudine, dovuta a scelte di autori ritenuti superati dal tempo. Non è proprio così, perché proprio quelle scelte permettono di inquadrare meglio l'autore o l'autrice, oltre che il tempo in cui si è consumata la loro creazione, evidenziando il rapporto che hanno vissuto con gli artisti a loro contemporanei, permettendo, così, di inquadrare meglio un determinato periodo che, alla fine, può apparire anche più attraente.
La scelta di Daniela Cavallaro, che è docente di italiano presso l'Università di Auckland, in Nuova Zelanda, e che da tempo lavora sul teatro delle donne, è caduta su Alba de Céspedes (1911-1997), autrice romana che, negli anni Cinquanta-Settanta, è stata una delle scrittrici più lette in Italia. Il suo Quaderno proibito (1952), fu oggetto di continue ristampe, essendo diventato un bestseller da oltre 200mila copie. Lo stesso dicasi per La bambolona (1967) che negli Oscar Mondadori raggiunse i medesimi risultati. Simili indicazioni sono sufficienti per capire come il successo di questa scrittrice e della sua narrativa avesse superato persino quello di Moravia, Cassola, Bassani, Pavese, Calvino, Ginzburg, Pasolini, autori che non sempre poterono vantare simili risultati.
Daniela Cavallaro, però, ha spostato il suo interesse dalla narrativa al teatro, con il volume Il teatro di Alba de Céspedes (Bulzoni, pagg. 530, euro 30) che in verità, con qualche eccezione, si riduce alla trasposizione teatrale dei due romanzi citati che continueranno ad avere successo sui palcoscenici italiani e internazionali. L'autrice analizza le difficoltà, i ripensamenti, gli scontri tra la de Céspedes e i registi o riduttori che portavano in scena la trasposizione dei testi, non trascurando nulla nel suo lavoro di ricerca, avendone ricostruito tutto il percorso teatrale, a cominciare da Gli affetti di famiglia. Inoltre, avendo consultato molti manoscritti, ha trovato parecchi inediti, testi incompleti, recensioni e presentazioni degli spettacoli.
Gli affetti di famiglia andò in scena al Teatro delle Arti di Roma nel 1952, con una Compagnia di complesso di cui facevano parte Luigi Cimara, Wanda Capodaglio, Tino Carraro, Anna Miserocchi. Fu un successo mondano. La trama verteva, in particolare, su due argomenti: la trasformazione dei costumi sessuali dei giovani e i diritti, dei figli abbandonati, di conoscere i propri padri. Non c'è dubbio che il testo, come i successivi, peccasse di convenzionalismo, benché si riconoscesse alla scrittrice la lucidità del dialogo, il cui tono interrogativo non andava però oltre una capacità artigianale. L'Italia in quegli anni viveva l'esperienza del Piccolo Teatro e del teatro di regia, così le Compagnie di giro che portarono in scena i testi di Alba de Céspedes sapevano di teatro primo Novecento.
Infatti, le cose non andarono meglio con Quaderno proibito, il cui debutto avvenne al Teatro Eliseo, regia di Mario Ferrero, con Andreina Pagnani, Giuliana Lojodice, Carlo Hintermann. Furono presenti tutti i critici nazionali che, nelle loro recensioni, non si mostrarono molto soddisfatti. Qualche critico accusò il testo di una certa banalità, a livello di «rotocalco» femminile, ammettendo di aver preferito il romanzo. Come ben si sa, gli insuccessi creano, a volte, celebrità, tanto che l'eco arrivò all'estero, dove Quaderno proibito ebbe una seconda vita sui palcoscenici francesi, spagnoli, tedeschi. Inoltre fu pubblicato, a puntate, su Noi donne. La medesima sorte toccò a La bambolona che, oltre alla versione teatrale di Raf Vallone, con Gabriella Pallotta, ebbe una versione cinematografica, con la regia di Franco Giraldi, protagonisti Ugo Tognazzi, Lilla Brignone e una conturbante Isabella Rei, sempre imbronciata, giustamente ingenua e che, alla fine, scopriremo calcolatrice, perfida e spietata.
Eppure, bisognerà riconoscere ad Alba de Céspedes la capacità di avere rappresentato la vita
quotidiana degli anni Cinquanta-Sessanta, oltre che un certo costume e la moralità spicciola degli italiani, con uno sguardo di tipo esistenziale che potrebbe farci pensare a Giuseppe Giacosa e, in particolare, a Come le foglie.
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