Alfa, un rombo lungo 100 anni

«Quando passa un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello». Queste parole, attribuite a Henry Ford, non sono mai state pronunciate. Almeno dal magnate americano. Perchè negli anni ’30, negli States, l’Alfa non aveva ancora un canale di distribuzione, anche se alcuni esemplari venivano già importati direttamente dall’Italia. Ma il fatto che il re dell’auto d’Oltreoceano non le abbia mai smentite, ne rafforza paradossalmente il significato. Essere «alfisti» è uno «state of mind», un modo di essere trasversale, indipendentemente dal fatto di possedere un modello della casa del biscione oppure no. Da Gigi Riva a Bruno Arcari, da Mussolini allo Scià di Persia, di alfisti noti e meno noti è pieno il mondo, attraverso l’intero ’900. Si, perchè il prossimo 24 giugno l’Alfa Romeo compirà cent’anni. Ma, almeno fino a oggi, nessuno a Milano sa se e come l’anniversario verrà celebrato. Inutile ricordare che il marchio del «biscione» è un’icona dell’industria, della storia, della cultura milanese, lombarda e italiana in proiezione mondiale. Roba per vecchi. Cose che sanno tutti. Che però passano sotto silenzio, quasi che a parlarne si faccia peccato, o si possa dare fastidio a qualcuno. Magari alla propria memoria, se non alla propria coscienza, per un’azienda dal passato glorioso e dalla fine inguardabile. Eppure il mito resta. Quello non si può scalfire nè nascondere. Anzi: con le avversità, prende sempre più corpo, adrenalinicamente alimentato da una sorta di febbre che cresce, corre e si diffonde come un virus a tutte le latitudini dei cinque continenti. Nonostante l’indifferenza di casa. Il mito, tuttavia, ha ancora un’anima pulsante, benchè non siano in molti a saperlo. E batte proprio negli stabilimenti di Arese, ormai abbandonati. Di fronte al Museo (per fortuna riaperto al pubblico da alcuni mesi) resiste, in alcuni locali della palazzina direzionale, il settore «Alfa Romeo Automobilismo Storico», che gestisce le vetture ma anche il Centro Documentazione ricco di un patrimonio impressionante di materiale. Qualche cifra: 80mila immagini (di cui oltre il 50% già digitalizzato), 500 filmati, i registri di produzione dal secondo dopoguerra a oggi, le pubblicazioni tecniche modello per modello, l’archivio dei disegni e dei progetti, oltre a tutti i fondi aziendali che abbiano valore culturale: dall’atto di fondazione dell’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) ai contratti con i piloti, alla biblioteca con oltre 750 titoli, ai carteggi di personaggi famosi e no. Come le lettere di ringraziamento che, dal 1943 al ’45, gli operai inviarono al direttore generale Ugo Gobbato per gli sforzi compiuti dall’azienda onde evitare la deportazione di lavoratori e macchinari in Germania. Quello stesso Gobbato barbaramente trucidato all’indomani della Liberazione per i «soliti» motivi politici mentre rientrava a casa in bibicletta dall’ufficio al Portello. La storia dell’Alfa Romeo, in realtà, è una e trina. Basta pensare all’impegno progettuale e industriale del marchio nell’industria aeronautica, così come nella motonautica nazionale. E il proprio passato l’Alfa l’ha sempre curato, alimentando nel tempo quell’archivio - anche grazie alla passione e alla tenacia di una donna napoletana (guarda il destino...), Elvira Ruocco - che oggi è organizzato nel «Centro». Già negli anni ’60, quando il marchio era all’apice del successo commerciale e sportivo, si era capito che la conservazione dei documenti aveva anche finalità culturali, di «heritage», direbbero in America. Non per niente, al timone dell’azienda c’era un personaggio dai tratti umani, morali, intellettuali e manageriali ineguagliabili come Giuseppe Luraghi. Del resto, c’è sempre stato uno stretto e nutrito legame tra l’Alfa e la sua città, sotto il profilo culturale. Basti pensare alle presentazioni dei nuovi modelli spesso «gemellate» con le produzioni delle case di moda. Oggi «A.R. Automobilismo Storico», diretto da Stefano Agazzi, all’interno del quale trova spazio il «Centro Documementazione», conta sette addetti, di cui tre tecnici che curano le vetture del Museo, spesso inviate in giro per il mondo, ospiti richiestissime delle principali manifestazioni internazionali: dal Goodwood Festival of Speed in Inghilterra al Concorso di Pebble Beach in California. L’attività è continua. Fa quasi impressione riscontrare tanto lavoro in mezzo al nulla del deserto di Arese. «Dobbiamo star dietro alle richieste che arrivano da ogni parte del mondo: in media 4500 ogni anno - spiega Marco Fazio, responsabile del Centro Documentazione -. La nostra infatti è un’operazione sia di immagine sia di marketing. Il Centro non è aperto al pubblico come invece il Museo, ma è in grado rispondere a qualsiasi input arrivi dall’esterno, si tratti di ricerche universitarie, redazione di libri o di articoli, piuttosto che dei quesiti di proprietari di vetture: basta scrivere una e-mail (centrodocumentazione@alfaromeo.com) e la macchina si mette in movimento. Il beneficio è biunivoco - prosegue Fazio -; le informazioni infatti viaggiano a doppio senso, con il risultato di fare scoperte davvero sorprendenti».

Ad esempio? «Chi poteva immaginare che i maggiori collezionisti al mondo dei modelli più esclusivi degli anni ’30 (le mitiche “8C“, ndr) si trovano nello Stato di Washington nel Nord-Ovest degli Stati Uniti, o che nello Sri Lanka esiste un esemplare di Alfasaud, o, ancora, che molte vetture Sport degli anni ’20 siano conservate in Australia?». Le consulenze sui modelli, su richiesta opportunamente motivata e circostanziata, sono gratuite, perchè consentono di avere una prospettiva reale e puntuale sul mondo della passione Alfa Romeo.

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