Gli All Whites tanto fisico ma poca classe

Disciplina, muscoli e orgoglio, uniti a una grande serenità. Sono questi i punti di forza degli All Whites, nome nato per evitare paragoni imbarazzanti con i Blacks, i cugini più illustri del rugby. Nel paese in cui la palla ovale è una vera e propria religione, la nazionale di calcio della Nuova Zelanda fatica a radunare adepti

Gli All Whites tanto fisico ma poca classe

Disciplina, muscoli e orgoglio, uniti a una grande serenità. Sono questi i punti di forza degli All Whites, nome nato per evitare paragoni imbarazzanti con i Blacks, i cugini più illustri del rugby. Nel paese in cui la palla ovale è una vera e propria religione, la nazionale di calcio della Nuova Zelanda fatica a radunare adepti. Ma l’approdo al Mondiale - il secondo della storia - ha avuto già un sapore storico. E il primo punto iridato ottenuto al debutto con la Slovacchia ha accresciuto l’entusiasmo, tanto che oggi ha annunciato la sua presenza in tribuna il premier John Key, dal 2008 alla guida del paese oceanico. Oggi, poi, il momento storico con la sfida ai campioni del mondo.
«Attenti azzurri, non abbiamo nulla da perdere», continuano a ripetere questi ragazzoni che cercano di supplire a una tecnica non sopraffina con la prestanza fisica. Vedi Reid, centrale difensivo classe 1988 di 1.90, quello dell’incornata che martedì scorso ha spento i sorrisi slovacchi. O Vicelich (1.93) mediano randellatore che oggi potrebbe cedere il posto a Brown (il Pirlo neozelandese operato il 25 maggio scorso ad una spalla fratturata nello stage di preparazione in Austria e che ha rischiato di non essere in Sudafrica) fino alla stella Ryan Nelsen (1.85), capitano dei Blackburn Rovers e insidioso sulle punizioni. Nel primo match, la Nuova Zelanda ha giocato con un 3-4-3 nel quale i centrocampisti esterni rientravano a supporto della difesa. Logico che i Whites ergeranno una solida barricata, cercando magari di sfruttare gli episodi o qualche calcio piazzato.
Di certo, la squadra di Ricki Herbert non è il manipolo di carneadi del 1982 maltrattato da Brasile, la vecchia Urss e Scozia. L’attuale tecnico era all’epoca un ingenuo terzinaccio che vedeva sfilare inerme i vari Zico e Falcao, ma che riuscì a scambiare la maglia con Socrates. «Conservo quella maglia come una reliquia, non so se lui ha ancora la mia...», ha scherzato Herbert dal ritiro di Daveyton, «township» nera a 40 chilometri da Johannesburg dove gli abitanti della zona per cucinare e riscaldarsi usano stufe a legna e paraffina. Oggi il ct è stimato in patria, dopo la vittoria nella Coppa d’Oceania nel 2008, la partecipazione alla Confederations Cup e la qualificazione ai Mondiali (gol decisivo della torre Fallon nello spareggio con il Bahrein).

Con l’Italia un solo precedente, lontano un anno e 14 giorni: un bizzarro 4-3 nell’amichevole tra una nazionale azzurra zeppa di riserve e i neozelandesi bravi a sfruttare le frittate difensive dei nostri. Oggi, se le cose andranno male, potranno sempre dire: «Sfidavamo i campioni del mondo...».

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