Su quei pinnacoli rocciosi ci si arrampicava sempre a piedi nudi. Tenere il passo del gregge non era facile. Specie per un bambino. Però il padre portava le capre al pascolo e lui doveva dare una mano. Non c'erano mica soldi per le scarpe. Pazienza se faceva male. Il piccolo Abebe stringeva i denti mentre quelle piante si ispessivano ogni volta di più. Diventavano dure come lastre di granito. Ma restavano sensibili al terreno, per ascoltarne i sussurri. Papà arrancava dissolvendosi in lontananza. Lui si inerpicava senza sforzo.
Era nato il 7 agosto 1932. Lo stesso giorno della maratona olimpica di Los Angeles. A volte le il fato ce l'hai impresso dal primo vagito. Aveva iniziato ad allenarsi sul serio soltanto a metà degli anni Cinquanta. E Onni Niskaen, tecnico svedese chiamato a mettere in forma la Guardia dell'imperatore Hailé Selassié, lo aveva notato subito. Abebe ci si era arrualato per raggranellare una paga migliore e per spedirne una parte a casa. Quell'incontro ad Addis Abeba fu provvidenziale. Niskaen compose un gruppetto degli atleti migliori, deciso a prepararli per le prossime Olimpiadi. Abebe lo faceva correre scalzo, spesso sulle rive arse dal sole del lago Debre Zeiy. Per lui non era affatto un problema. Forse non siete mai andati appresso alle capre, rimuginava.
Aveva anche iniziato a gareggiare. Correva la maratona con il tempo di 2h 21’ 23”. Quando Onni aveva comunicato la cosa ai suoi colleghi europei l'avevano tutti presa per una panzana. Bikila però andava forte davvero. Era stato selezionato nella squadra nazionale, per gareggiare alle Olimpiadi di Roma del 1960. L'imperatore aveva voluto salutare quelle figure sottili prima della partenza, ma era rimasto scettico. "Come potrebbero vincere se sono così magri?", aveva sussurrato ad un suo dignitario. Non sapeva con chi aveva a che fare.
Alle Olimpiadi, in realtà, Abebe ci arrivava da outsider assoluto. A dirla tutta non era nemmeno tra le prime scelte della squadra etiope. Era stato messo su un aereo in fretta e furia, per sostituire il collega Wami Biratu, che si era banalmente infortunato giocando a calcio. Una iattura che si sarebbe trasformata in miracoloso allineamento.
Così eccolo ai nastri di partenza, il 10 settembre del 1960, nella città eterna. Nessuno ci scommetterebbe una lira. I candidati alla vittoria sono, nell'ordine, il russo Popov, il neozelandese Magee e il francese Mimoun (ultimo vincitore). Poi tutti gli altri. Lui non è neanche contemplato. Due ore prima della gara, mentre la placida sera romana cade come un balsamo sul selciato della capitale, Bikila decide che correrà scalzo. Le scarpe che gli sono state donate dallo sponsor tecnico gli stanno strette. Ha delle vesciche che farebbero issare bandiera bianca a chiunque. Gli altri atleti, la stampa e il pubblico lo scrutano compassionevoli. Questo non arriva nemmeno a metà corsa, si mormora. "Corro scalzo per sentire meglio cosa mi sussurra la strada", spiega lui.
Invece parte un primo treno di corridori e lui sta agganciato nel mezzo. Si distingue facile perché indossa una casacca verde, con su impresso il numero undici. La corsa fluttua verso il raccordo anulare. Si accendono le prime torce. Dopo dieci km stacca tutto il gruppo e ingaggia una furente battaglia personale con il marocchino Rhadi Ben Abdesselem. La folla trasale quando lo vede passare. Come fa ad andare così forte senza provare dolore? A Porta San Sebastiano il suo avversario prova l'allungo. Bikila forse socchiude le palpebre per un istante soltanto. Ripensa al gregge che doveva inseguire sui monti etiopi. Sorride e va a riprenderselo.
Fluttua sulla via Appia. La scioltezza della sua andatura irretisce gli avversari. La fa sembrare tremendamente semplice. Arriverà al traguardo, a due passi dall'arco di Costantino, segnando il clamoroso tempo di 2h 15’ 16”. Nuovo primato mondiale. "Noi etiopi abbiamo sempre vinto con determinazione ed eroismo", dice intervistato al traguardo.
In patria lo accolgono con ponti d'oro. Viene subito promosso al ruolo di Caporale della Guardia Imperiale.
Gli comprano anche una macchina e gli affittano un autista privato, perché mica ha la patente. Seduto al posto del passeggero, la folla che scuote di gioia la vettura, Abebe Bikila sorride forte stringendo l'oro olimpico. Certe volte i sogni li raggiungi meglio a piedi nudi.
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