Barcellona '92: quando il Settebello vinse in faccia al Re di Spagna

Quando gli azzurri giocarono la partita della vita contro Estiarte e il tifo di casa: trentadue anni fa l'oro olimpico più sudato

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Lui l'ha detto chiaro ai microfoni delle televisioni di mezzo mondo: "Piranhas contra truchas". Pesci carnivori contro trucioli dispersi in acqua. Non si è ancora ripreso dallo choc della sconfitta, quando pronuncia queste parole. Lui e i suoi hanno appena perso la finale di un'Olimpiade giocata in casa, a Barcellona. Lui è Manuel Estiarte, il Maradona della pallanuoto. La sua infinita classe però non è bastata, contro la prodigiosa Italia di Rakto Rudic, il sergente croato giunto per spremere al massimo una squadra di talento che tende a smarrirsi nelle occasioni speciali.

Ultimo giorno delle Olimpiadi spagnole. Afosa domenica del 1992, nove di agosto. Il teatro dello scontro decisivo è la piscina Bernat Picornell. La Catalogna sogna forte l'indipendenza e cerca di riconoscersi nel trionfo di una città, più che di una nazionale. L'Italia però scuote la testa. Non ci sta a deporre le armi, arrivata a questo punto. Non importa se il palazzetto è un incandescente catino tinteggiato di rosso. Non può scalfire le certezze acquisite nemmeno l'imperiosa figura del Re di Spagna, Juan Carlos, accorso per celebrare il successo dei suoi.

Rudic ha insegnato ad una squadra eccessivamente umorale a spegnere i sentimenti disturbanti. Vuole che assomigli alla sua Jugoslavia: unita e spietata. Per riuscirci è praticamente arrivato a litigare con alcuni dei suoi. I modi sono spicci, la pazienza inesistente, le pretese inedite. La sfida maggiore, per il "tricheco di Belgrado", è vincere la resistenza al cambiamento. Nella testa dei suoi ragazzi instilla un concetto granitico: il talento va armato con una dedizione totale.

Ad ascoltare il suo credo, già a partire dal 1990, si radunano un po' perplessi quelli del Settebello, miracolosa espressione coniata da Nicolò Carosio molti anni prima. Intanto però oggi sono in finale, al cospetto della portentosa Spagna trascinata in acqua da Estiarte, catalano di Manresa, grande predatore rilasciato in un acquario. Solo che i pesci di quel giorno decidono di affilare tutti insieme i denti e cominciano a staccare il successo a morsi. In piscina vanno Francesco Attolico, Marco D’Altrui, Sandro Bovo, Pino Porzio, Sandro Campagna, Paolo Caldarella, Mario Fiorillo, Franco Porzio, Amedeo Pomilio, Ferdinando Gandolfi, Massimiliano Ferretti, Carlo Silipo, Gianni Averaimo. Eccoli, i nostri eroi.

Si gioca in acqua sì, ma pare subito chiaro a tutti che quella assomigli molto di più ad una pozza di lava incandescente. Gli spagnoli attaccano. Gli italiani rispondono. Si lotta centimetro su centimetro. Spanna su spanna. Nessuna delle due riesce a domare l'altra. Le due formazioni si equivalgono, generando quintali di ansia per chi segue la gara dagli spalti e chi sta in piedi davanti alla tv, a casa, sudando anche se non ha mai visto prima la pallanuoto.

Il clima generale diventa talmente rovente che, ad un certo punto, Rudic rischia di venire alle mani con il collega spagnolo. La trance agonistica è totale. Risultato incollato sulla parità. Si va ai supplementari. L'Italia viene visitata per un attimo da tutti i fantasmi delle sconfitte precedenti, quando era stata ad un palmo dal successo e poi se l'era visto scivolare via tra le dita. Stavolta però li caccia via tutti quanti.

"Se vuoi vincere, non pensare alla vittoria", ripete mantricamente Rakto, rivolgendosi ai suoi. Spente le altalene emozionali. Nervi come acciaio e ci si rituffa in acqua.

Da questi rivoli limacciosi si leva la miracolosa mano di Ferdinando Gandolfi: schiena arcuata, spinta giusta, palla in rete. Gli azzurri vincono 9-8. Oro olimpico. Spagna e Catalogna ammutolite. Il Re pure. Quel tizio burbero venuto dalla Jugoslavia si getta tra i suoi. Tuffandosi, spedisce ai bordi i trucioli spagnoli.

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