I cani di Chernobyl ci insegneranno cosa può succedere a un organismo vivente chiamato a convivere a lungo con le radiazioni? Uno studio sul Dna dei cani che vivono vicino alla zona d'esclusione apparso su Science Advances e guidato dalla genetista Gabriella J. Spatola prova a fare chiarezza. Spatola è ricercatrice del National Human Genome Research Institute al National Institutes of Health, Bethesda, nello Stato americano del Maryland. I risultati dello studio aiutano non solo a comprendere come la popolazione animale possa sopravvivere a disastri come quello di Chernobyl, ma presenta delle conclusioni importanti che possono essere applicate anche agli umani.
Lo studio The dogs of Chernobyl: Demographic insights into populations inhabiting the nuclear exclusion zone si focalizza sulle mutazioni di Dna imposte da anni di convivenza tra le popolazioni canine e le radiazioni emesse a Chernobyl dalla centrale nucleare esplosa nel 1986.
Secondo lo studio le popolazioni attuali discendono da animali domestici lasciati liberi da individui evacuati da città come Pripyat, diventata fantasma dopo che nel 1986 aveva 50mila abitanti, o fuggiti a cacciatori e avventurieri che si sono incamminati nella zona di esclusione. L'obiettivo della ricerca è capire su un organismo modello come i cani quanto forme invasive di inquinamento e avvelenamento ambientale possano ricombinare geneticamente la popolazione di una specie, fornendo un modello che può essere adottati a organismi complessi come gli esseri umani.
In sostanza nella zona a un chilometro da Chernobyl prosperano circa ottocento cani divisi, nota il team di Spatola, in quindici "tribù" legate da corredo genetico comune. Studiando i cani che vengono curati negli improvvisati ambulatori della zona vicino Chernobyl e sedando ben trecento esemplari dal 2017 a oggi la Chernobyl Dog Research Initiative ha permesso di studiare come i cani si sono adattati a uno shock esogeno come l'esplosione di Chernobyl e, soprattutto, come lo abbiano fatto per puntare a prosperare a due passi da una vera e propria fucina di radiazioni. L'obiettivo di fondo è quello di "comprendere meglio gli effetti dell'esposizione alle radiazioni a lungo termine sulla genetica e sulla salute umana", sottolinea Nature.
Nei cani è bastata poco più di una generazione umana e poco meno del lasso di vita di due cani per spingere a una modifica caratteriale in individui mediamente più rinselvatichiti. Il Dna dei cani è mutato e si sono create popolazioni distinte, come dimostrano i test di controllo, da quelle che vivono fuori dalla zona di esclusione. Inoltre, scrivono i ricercatori nel paper, "i nostri risultati evidenziano la tendenza dei cani semi-selvatici, proprio come i loro antenati canidi selvatici, a formare branchi di individui imparentati". E in prospettiva "la popolazione di cani di Chernobyl ha un grande potenziale per informare gli studi sulla gestione delle risorse ambientali in una popolazione animale in ripresa.
Il suo più grande potenziale, tuttavia, risiede nella comprensione delle basi biologiche della sopravvivenza animale e, in definitiva, umana in regioni di alto e continuo assalto ambientale". Ciò su cui in prospettiva si dovrà lavorare: perché anche di fronte alla prospettiva di un disastro come Chernobyl la vita, compresa quella umana, può riprendersi i propri spazi. E questa conclusione è rassicurante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.