Ammazza di botte il padre: era in cura psichiatrica

Rabbia, forse un momento di follia. In quell’istante si è consumata la tragedia in un appartamento del centro di Meda, in Brianza. Marco Castelli, di 33 anni, in cura psichiatrica, ha ucciso il padre Sergio di 66. Lo ha massacrato di botte, tanto da sfondargli parte della faccia.
Sono le tre meno dieci. Quelli che abitano nell’alloggio a fianco, sentono urlare: secondo le testimonianze urla disperate. La relazione tra padre e figlio da molto tempo è problematica: quel giorno Marco, un ragazzotto robusto alto un metro e ottanta, si accanisce contro il genitore. L’appartamento del litigio è al quinto piano; sotto, sulla via Matteotti, una banca e il municipio; qualcuno sente, qualcuno chiama la centrale dei carabinieri di Seregno. Scatta l’allarme, sul posto arrivano due gazzelle. I militari dell’Arma intuiscono, dall’altra parte della porta si è già consumata la tragedia. Vengono chiamati i volontari del 118 e i vigili del fuoco. Suonano il campanello: nessuna risposta. Bisogna sfondare la porta blindata. Così la scena: Sergio Castelli, pensionato, vedovo da due anni è nella vasca da bagno, dal rubinetto scende un filo d’acqua. Nella sala pranzo, teatro della furibonda lite tra padre e figlio, c’è sangue dappertutto. Tanto sangue a testimoniare la violenza, la furia di un figlio che nel palazzo descrivono come «un po’ difficile, un po’ temuto...». Per il caratteraccio violento, per quella rabbia che si porta dentro. Anche il portiere dello stabile appare scosso per quanto avvenuto: «Sergio - dice l’uomo - era proprio una brava persona. Non meritava una fine così... ». Ma come mai se picchiava spesso il padre nessuno è intervenuto prima? La risposta: «È quello che chiedo a voi... ». Marco, l’«ultima impresa», quella che potrebbe costargli una valanga d’anni di carcere, non è ancora chiaro se l’ha concepita a mente fredda. In questo caso dovrà difendersi dall’accusa di omicidio volontario. Oppure un gesto istintivo? Folle? Adesso cercare di dare una risposta spetta al pubblico ministero di Monza Stefania Di Tullio.
L’omicidio, ecco il probabile «film»: padre e figlio sono vestiti, forse hanno discusso animatamente tutta la serata. Poi il giovane afferra il genitore e gli fracassa la faccia contro lo spigolo di una parete oppure di un mobile. Infine si siede accende la radio e ascolta musica classica. Il movente: due le ipotesi.

Il giovanotto si era messo in testa che la causa del suo malessere fosse da attribuire al padre. Altra ipotesi, voleva ottenere dei soldi. Bloccato, Marco, fissa con gli occhi quelli del capitano Luigi Spegna: non apre bocca. Scena praticamente muta.

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