Sono cose che passano si intitola, con siciliana saggezza, il nuovo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco, che in esso esprime tutto l'amore e i rimproveri (consentiti ovviamente agli autoctoni, come i rimbrotti della mamma ai figli) che indirizza alla sua terra. E lo fa attraverso una storia d'amore, o meglio d'amore prima e di separazione poi, fra l'indipendente e bellissima Ottavia, principessa di Bauci abituata agli agi, al jet set e alla sprezzatura che competono al suo rango, e Rodolfo, «barone baro» di Polizzi, insomma barone non si sa quanto fondatamente (l'Albo d'oro, puntualizzano gli scontenti genitori di Ottavia, non menziona il casato...), del tutto inadeguato alle raffinatezze e alla cultura della moglie. Lei però, innamoratissima, si lascia trascinare via dal bel mondo di Capo d'Orlando, dalla villa frequentata in passato da Yeats e Pound, per finire a Leonforte, un paesino dell'entroterra, dove, a Palazzo Polizzi, domina incontrastata la temibile donna Tina, madre di Rodolfo. Per capire la distanza di entrambi i mondi dalla realtà, si considerino due dettagli: a casa di Ottavia, Sua Maestà sono ancora i Borbone (e siamo nel 1951...), mentre a casa di Rodolfo la madre è convinta che le Teste di turco, specie di polpette avvolte nel guanciale e fritte, siano un toccasana da servire ogni giorno in abbondanza.
È proprio tra le mura domestiche di Leonforte, in occasione della visita di un'amica inglese, Lucy, contessina di Norfolk, che Ottavia confessa a Rodolfo qualche peccatuccio di gioventù, come quando, in Inghilterra, amava tagliuzzare col fioretto i suoi spasimanti, provando (e provocando) piacere nello sfregio; oppure quando, a Cefalù, Aleister Crowley celebrava certi riti molto carnali, alla presenza di giovani fanciulle... Riti che, va da sé, attiravano moltissimo i rampolli dell'aristocrazia, annoiati e sussiegosi, alla perenne ricerca di uno svago che segnasse la loro superiorità rispetto al popolino. Ottavia, però, porta con sé un altro segreto, ben mantenuto nell'ombra, lontano dagli abiti eleganti, dai modi impeccabili, dalle esecuzioni magistrali al pianoforte, dalle doti inaspettate di pilota e automobilista, dall'educazione internazionale: un demone, di nome Famelico, che la segue ovunque, nonostante i suoi buoni propositi di mogliettina devota, anzi, ancora più incline a spingere la nobildonna all'azione malvagia per deviarne il cammino. E, quando Rodolfo inizia a soffrire di continui dolori gastrici, il demone sembra entrare subito in azione: infatti, mentre assiste il suo Rodolfo immobilizzato a letto, incurante del tanfo di vomito e del dispotismo della suocera, accanto all'immagine pubblica di una Ottavia fedele e indefessa accudritrice del marito prende forma anche quella della fedifraga, che cede alla passione tutta sessuale per un capomastro palermitano, Orlando.
Nel contorno di personaggi «da paese» come la giovane Lia che viene portata in società, l'aspirante parlamentare Nino Buttafuoco (...
), il dottor Buscemi e il maresciallo Sechi, oltre all'inarrivabile donna Tina, Buttafuoco mette in scena la sua Sicilia e lo fa con una lingua coerentemente barocca e un'ironia che diverte molto e che non risparmia nessuno, poveri e nobili, eroi e criminali. Fino alla conclusione, sorprendente, ma sempre da ricondurre all'ineluttabilità del destino: «le pazzie sono cose che passano»...
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