Anche contro l’infarto è possibile essere assicurati

Felicita Donalisio

Nel mondo occidentale, la principale causa di morte, attualmente, è l’infarto. È vero che la mortalità, rispetto al passato, oggi è ridotta al 9-10%, ma sono numeri che riguardano le grandi città, dotate di strutture ospedaliere ben attrezzate e con la possibilità di intervenire tempestivamente: «Come si sa, il trattamento entro sei ore dall’inizio dell’infarto fa sì che il danno che il cuore subisce sia il più possibile ridotto», afferma il professor Maurizio Viecca, direttore dell’Unità operativa di Cardiologia dell’ospedale “Luigi Sacco” di Milano. «Quanto alla strategia di rivascolarizzazione più efficace, oggi è sicuramente l’angioplastica (il noto “palloncino” che riapre le coronarie chiuse), una metodica che però non tutte le strutture ospedaliere sono in grado di attuare».
Purtroppo, in un Paese in cui la vita media aumenta sempre più, le patologie cardiovascolari (il discorso vale anche per l’ictus cerebrale, terza causa di mortalità, dopo le patologie tumorali) sono destinate a mantenere la medesima incidenza se non addirittura ad aumentarla, con scarsa possibilità, al momento, di terapie in grado non solo di ridurre la mortalità, ma anche di diminuire la riabilitazione inevitabile dopo l’intervento.
«Quando si parla di infarto, in genere ci si concentra sempre sulla mortalità, dando scarsa importanza all’invalidità post-operatoria», commenta il professor Maurizio Viecca. «Tutti pensano che un soggetto colpito da infarto abbia solo due possibilità: morire o salvarsi. In realtà, il più delle volte, sopravvivere a un infarto, o a un ictus cerebrale, significa doversi confrontare con tutta una serie di inabilità e limitazioni. Spesso, la persona non è più in grado di portare avanti la propria attività lavorativa. Il suo mantenimento, quindi, così come le terapie necessarie (domiciliari e non) per un adeguato percorso riabilitativo, sono completamente a carico della famiglia». Scarsi sono stati finora gli investimenti nazionali in questo campo: «Le attuali strutture ospedaliere sono inadeguate, sia come numero di posti sia, spesso, come qualità», osserva il professor Viecca. «Dopo l’intervento, il paziente viene abbandonato a se stesso o, nella migliore delle ipotesi, assistito per un periodo limitato di tempo, sicuramente insufficiente rispetto alle sue necessità. L’alternativa è la riabilitazione presso strutture private, ovviamente con costi notevoli».
Una possibilità di sostegno economico può venire dalle compagnie assicurative, oggi presenti sul mercato con varie offerte di rimborso per spese mediche (in particolare, negli ultimi anni, si è andata segnalando una compagnia austriaca che oggi occupa una posizione di leader in questo campo per info www.uniqa-assicurazioni.it). Naturalmente, prima della scelta, è fondamentale assicurarsi che i parametri proposti dalla società diano una copertura adeguata nei confronti di qualsiasi evenienza collegata alla malattia cardiovascolare: per esempio, che il rimborso sia previsto anche per un eventuale intervento all’estero, qualora la persona sia colpita da infarto o da ictus mentre si trova fuori dai confini italiani o, ancora, che tale rimborso sia valido “a vita intera” e non cessi, come avviene nella maggior parte dei casi, a 65/70 anni.

E’ fondamentale quindi che, per contratto, la compagnia di assicurazione non abbia facoltà di recesso (anche in caso di clienti plurisinistrati) e che l’assicurato venga risarcito completamente anche in caso di patologie gravi e invalidanti.

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