Sorridente, rimesso in sella dal voto di fiducia e scortato come al solito da Gianni Letta in funzione di ammorbidente, il Cavaliere arriva al Quirinale alle cinque e mezzo di sera e illustra al capo dello Stato quali saranno i prossimi impegni del governo, e cioè la legge sulla stabilità finanziaria e il pacchetto sullo sviluppo. Restano invece «difficoltà» su Bankitalia: Tremonti tiene duro su Grilli. L’incontro, «formale ma disteso», dura mezz’ora. Un vertice che, secondo l’opposizione, arriva fuori tempo massimo: Berlusconi, dicono, si sarebbe dovuto presentare sul Colle martedì stesso per restituire il mandato. Giorgio Napolitano però non è per niente d’accordo: «Il rifiuto di approvazione ha un valore politico, ma io non ho ritenuto che vi fosse un obbligo giuridico di dimissioni a seguito della reiezione del rendiconto».
Un «convincimento» che il presidente della Repubblica mette addirittura nero su bianco, in una lunga risposta a una lettera che gli avevano spedito i capigruppo della maggioranza. Ebbene, secondo il Colle la bocciatura di una legge importante come l’articolo uno del bilancio consuntivo non è sufficiente per aprire una crisi. Un opinione, spiega, «confortata del resto dalla dottrina». E cita Valerio Onida, costituzionalista vicino al Pd. Quello che serviva era invece «una verifica parlamentare della persistenza del rapporto di fiducia, come lo stesso presidente del Consiglio ha fatto». Anche senza dimissioni, «come si è invece verificato in taluni richiamati precedenti».
Questo «dal punto di vista costituzionale». Da quello politico però, Napolitano, pure dopo il voto, resta preoccupato «per il contesto più generale e l’innegabile manifestarsi negli ultimi tempi di acute tensioni in seno al governo e alla coalizione». Strappi e polemiche che hanno provocato «conseguenti incertezze nell’adozione di decisioni dovute o annunciate». La questione insomma, vista dal Colle, è sempre la stessa: al di là dei numeri, Berlusconi ce la farà a governare il Paese? Riuscirà a fronteggiare la crisi finanziaria? Avrà la forza di prendere le misure che servono per evitare di cadere nel baratro? Domande che il capo dello Stato rivolge direttamente al Cav durante il faccia a faccia serale e sulle quali aspetta risposte «dai fatti».
Ma tutto ciò, scrive Napolitano, «nulla ha a che vedere con un’inammissibile contestazione dell’articolo 94 della Costituzione». Anche se «il ricorso alla fiducia non dovrebbe eccedere da limiti oltre i quali si comprimono le prerogative delle Camere». Il capo dello Stato non entra nei dettagli della disputa tecnico-giuridica sul come «superare l’inconveniente» provocato dalla bocciatura di un provvedimento obbligatorio. Però osserva: «Le modalità non possono che essere le stesse per qualunque governo e possono consistere anche nella ripresentazione dello stesso testo. Ma era opportuno che avvenisse dopo il chiarimento politico, come in effetti è avvenuto».
Come dire: il governo si è mosso bene. E Gianfranco Fini invece, lui come si è mosso? Napolitano prende freddamente le distanze: «Non spetta a me pronunciarmi sui comportamenti e sul merito di atti che rientrano nell’autonomia del presidente della Camera». Poi ricostruisce il contestato incontro di mercoledì, quando Fini «ha chiesto di incontrarmi su esplicita richiesta dell’opposizione per riferirmi le loro valutazioni, le posizioni della maggioranza e le difficoltà che a suo avviso potevano derivarne per la conduzione dei lavori parlamentari». Questione che il presidente della Repubblica definisce «opinabile». Infatti, Fini e la giunta del regolamento hanno interpretato la bocciatura del rendiconto in modo, il governo in un altro: in democrazia capita di non essere sempre tutti d’accordo.
Superato questo scoglio improvviso, salvata la barca, la navigazione del governo non è comunque diventata più tranquilla. Se ne parla pure al Quirinale tra un Berlusconi sollevato che racconta le prossime mosse e un Napolitano tuttora preoccupato per la stabilità del quadro politico. Al Colle «c’è attesa per le prove che attendano la maggioranza». Dalla legge sulla stabilità finanziaria, approvata a Palazzo Chigi, alle norme sullo sviluppo. Il capo dello Stato si aspetta che il premier riesca presto a dimostrare di avere la situazione in mano, di poter governare. Il primo segnale non è buono: la situazione di Palazzo Koch è in pieno stallo, nonostante un incontro tra il Cav e Lorenzo Bini Smaghi.
Se passa l’idea che la nomina del successore di Draghi è ostaggio di un braccio di ferro politico, che succederà sui mercati? Davvero un pessimo messaggio. «Ci sono difficoltà ancora da superare», fa sapere Napolitano. È un tentativo di smuovere le acque?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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