Sentenza choc: tornano "genitore 1 e 2"

La Cassazione boccia il governo: via "padre" e "madre" dalla carta d'identità

Sentenza choc: tornano "genitore 1 e 2"
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Dire «padre» e «madre» è discriminatorio, meglio la dicitura generica «genitore». Si riscrive il diritto familiare con la sentenza 9216 del 2025 che riesuma la dicitura sdoganata nel 2015 e abolita nel 2019, si scatena il solito dibattito politico e si discute dell'ennesimo affondo della magistratura ideologica.

Come aveva teorizzato qualche giorno fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, le toghe riscrivono le norme al posto del Parlamento, con una giurisprudenza creativa sotto dettatura dell'establishment uscito sconfitto dalle elezioni, storicamente favorevole alla disgregazione della famiglia tradizionale, come teorizzata dal sinistro finanziere ungherese George Soros e dalla sua Open Society.

Nel 2019 il ministero dell'Interno - allora guidato da Matteo Salvini - aveva presentato un ricorso contro la decisione della Corte d'Appello di Roma disapplicare il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, con il quale era stata eliminata la parola «genitori» dai documenti per tornare alla dicitura «padre» e «madre».

Una decisione adottata già dal Tribunale di Roma, che nel caso di un minore figlio di due madri (una naturale e una di adozione grazie alla step child adoption, l'escamotage giuridico per aggirare l'odiosa pratica dell'utero in affitto) aveva disposto di indicare solo «genitore» nella carta d'identità elettronica. Secondo la sentenza i giudici avevano davanti una strada obbligata, descrivere nel documento valido per l'espatrio una rappresentazione reale della famiglia corrispondente allo stato civile del minore di età inferiore ai 14 anni, in viaggio con «i genitori o chi ne fa le veci».

Il modello della carta d'identità predisposto dal Viminale, secondo la Cassazione, non rappresenta tutte «le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione», con il risultato «irragionevole e discriminatorio» nascosto dietro le parole «padre» e «madre» quando uno dei due non c'è, mortificata in una «relazione di parentela non consona al suo genere», recita la sentenza.

La dimostrazione del valore «politico» del discutibile verdetto si interpreta dalle reazioni. Esultano le associazioni che si battono per i diritti degli omosessuali, la sinistra e la comunità Lgbtq+. Per il responsabile Diritti Pd ed europarlamentare Alessandro Zan, che accusa il Viminale e il premier Giorgia Meloni di retorica ipocrita sulla pelle dei bambini», con la sentenza «si infrange contro la realtà la crociata ideologica portata avanti dalla destra nei confronti delle famiglie arcobaleno», mentre per l'ex presidente della Camera Laura Boldrini «la Cassazione ha messo fine a una forma di bullismo di Stato». Sulla stessa falsariga Arcigay, le famiglie Arcobaleno e la Rete Lenford, che hanno fornito supporto legale alle due madri coinvolte nella vicenda legale, convinte che così la Cassazione abbia deciso di tutelare «il vero interesse dei minori».

La Cgil tuona contro «l'ideologia ossessiva e integralista» mentre secondo il portavoce del partito Gay Lgbtq+ Fabrizio Marrazzo è giunta l'ora di un ulteriore ampliamento dei diritti «come il referendum sul matrimonio egualitario sul quale chiediamo un impegno da parte di tutte le forze politiche», in attesa che la Consulta si pronunci sulla possibilità di estendere la fecondazione assistita ai single (che già teoricamente possono adottare), mentre in Europa si discute sul «certificato genitoriale» che legittimerebbe la gestazione per altri.

Di segno diametralmente opposto le considerazioni della maggioranza. «Dalla Cassazione una scelta ideologica che temo investirà ogni settore dello Stato, compresa la scuola», dice il deputato della Lega Rossano Sasso. La conferma arriva dall'avvocato Gianni Baldini, esperto di legislazione arcobaleno: «Finora i Comuni si sono opposti alla trascrizione dei certificati di nascita formati all'estero da parte di coppie omo genitoriali, richiedendo che vi dovesse essere in ogni caso un padre e una madre come condizione di validità del requisito di iscrizione anagrafica».

«Ancora una volta la Superba Cassazione decide secondo orientamenti più politici che giuridici, la sua credibilità continua a precipitare in maniera vorticosa», sentenzia il capogruppo dei senatori azzurri Maurizio Gasparri.

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