Roma - Non ha nulla contro Rosy Bindi. Questo, Matteo Renzi, ci tiene a chiarirlo subito. Il fatto è che il sindaco di Firenze preferirebbe un candidato premier per vincere e non per rimanere ancora una volta all'opposizione. Dopo l'intervista al Giornale, il rottamatore torna a bocciare le logiche da vecchio partito portate avanti dalla sinistra. Assicura di non voler fare il salto a Roma, ma ci tiene a pungolare la direzione del piddì affinché non candidi una Bindi che è in politica da prima della caduta del Muro di Berlino.
Il "no" di Renzi alla Bindi Guarda alla politica nazionale ma senza scendere a Roma. E si arroga il diritto di "intervenire sulle questioni politiche" del proprio partito. Un diritto che è ormai una vera e propria spina nel fianco dei big democratici. E' così che il sindaco di Firenze non poteva mancare al dibattito - tutto interno al centrosinistra - del "Bindi sì, Bindi no" lanciato settimana scorsa dal leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola. Renzi risponde senza mezzi termini: "Niente contro Rosy Bindi, però sta in Parlamento da prima della caduta del Muro di Berlino, dal giugno 1989". Insomma, il nuovo che avanza e manda in pensiono i dinosauri della politica. Intervistato da Maurizio Belpietro su Canale 5, il rottamatore boccia dunque la candidatura della Bindi. Questione di età. E di freschezza. "Ha fatto sei mandati, il ministro due volte, ha già corso alle primarie perdendo contro Veltroni - spiega il sindaco di Firenze a Mattino Cinque - io vorrei che ci fosse un candidato in grado di vincere le elezioni, non di perdere alle primarie". Quello che Renzi lamenta è la mancanza di una "classe dirigente nuova", capace di rifondare un'Italia che vive una situazione "preoccupante". "Vorrei - conclude il primo cittadino di Firenze - che agli amministratori, siccome non lo siamo di un condominio ma di una città, sia riconosciuto il diritto di intervenire sulle questioni politiche".
Il fronte dei "ribelli" nel Pd Non c'è solo Renzi a pungolare il fianco di Bersani. nelle ultime settimane, infatti, il fronte dei ribelli sembra essersi allargato. Così mentre Dario Franceschini chiude alla possibilità di un’intesa bipartisan sul ddl che ripristina l’immunità parlamentare, Luciano Violante apre all’ipotesi di reintrodurla anche se precisa che di ciò si può discutere "in un clima diverso". L’esponente Pd pensa a "un’immunità a tempo per una sola legislatura e votata con la maggioranza di due terzi o della Camera o del Senato a seconda dell’appartenenza del parlamentare". Violante è infatti dell’avviso che ci siano "riforme costituzionali serie e urgenti che premono da anni, sulle quali tutti quanti dicono di essere d’accordo e non si capisce bene perché non si fanno". In realtà, al di là del merito, l'apertura di Violante conferma uno scontro che si sta consumando all'interno del Partito democratico, uno scontro che rischia di logorare definitivamente i veritici.
Il pressing di Di Pietro In realtà, a preoccupare il Pd non è soltanto la scelta del candidato premier. Per prima cosa dovrà, infatti, decidere con chi presentarsi alle elezioni. L'idea di D'Alema di mettere insieme una grande ammucchiata sembra non trovare più terreno fertile. L'Italia dei Valori, infatti, continua a chiedere unascelta di campo. "Più che di una persona c’è bisogno di unitarietà di coalizione sulla base di un programma comune", spiega Antonio Di Pietro invitando i democratici a "dire se crede o no nel sistema bipolare". Un sistema che obbligherebbe a decidere, "prima del voto, quali sono le alleanze, per chi votano e sulla base di quale programma. L’idea del Terzo polo nasce invece dal presupposto di non allearsi con nessuno per poi unirsi con il migliore offerente".
Un ultimatum, quello dell'ex pm, che va a unirsi alle polemiche scatenate dai ribelli garantisti che negli ultimi giorni si sono dissociati dalla linea del Pd. Stretto in questa morsa Bersani non riesce infatti a far fronte al crescente malumore che immobilizza il partito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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