«Il mio contributo è modestissimo. È quello di un ragazzo entrato nel 1988 in tv (si chiamava Fininvest), a 21 anni». Esordisce così Guido Meda, giornalista oggi a Sky, «la» voce della Moto Gp, in un post sui social dedicato al suo personale ricordo di Berlusconi. È un salto indietro nel tempo. Anni '90. Meda è un giornalista alle prime armi, appena assunto al biscione. Una notte, finita la conduzione di un telegiornale lo chiamano alla reception. C'è una telefonata».
Chi era?
«Mi dissero che c'era il dottore che mi voleva parlare. O forse il presidente, lo chiamavano così in alternativa. Gli risposi con voce tremante, sicuramente un po' malferma pensando di aver fatto chissà quale disastro».
E lui?
«Lui percepì subito che c'era della tensione e mi rassicurò. No, no tranquillo tranquillo, mi disse con molta allegria... Ti stavo guardando, vi guardo sempre, siete bravissimi, senti, però, ho notato che la montatura di metallo degli occhiali che hai, riflette troppo le luci dello studio e poi accentua il tuo viso che è un po' scavato. Se ti fai una montatura scura, in acetato o in tartaruga, vedrai che migliori. E mi disse anche da chi andare e dì che ti mando io. Cosa che ovviamente non feci».
Gli occhiali li ha cambiati?
«Certo, ho preso quelli che diceva lui, perché cosa fai? Non li prendi? Beh, sono passati 27 anni e oggi ho ancora quegli occhiali lì. Non gli stessi ovviamente, ma ho sempre tenuto quel tipo di montatura. Classica, scura e che non riflette le luci dello studio. Perché è vero, mi stavano meglio. È un fatto, un piccolo fatto ma dice molto di lui. Uno che è Berlusconi, che ha un miliardo di cose da pensare, eppure ha anche voglia di telefonare al redattorino che ha appena fatto il telegiornalino per dirgli di cambiare gli occhiali, suggerendogli anche quali prendere. Era il suo modo di relazionarsi, sapeva metterti a tuo agio. Cioè in quel momento lì, lui stava parlando con te e in quel preciso momento lì, tu eri importante per lui».
C'è stato un primo incontro?
«Forse proprio all'inizio, quando ero un collaboratore per le pagine sportiva di Milano del Giornale e anche per l'Ansa. Andavo al Milan e ad Appiano Gentile per fare le mie prime interviste. Andare a Milanello significava inevitabilmente incontrarlo. E incontrarlo significava che magari quando andavi la domenica alla partita in tribuna stampa lo rivedevi e... Ecco sai cosa ricordo?»
Cosa?
«Una volta, in tribuna stampa a San Siro, avevo 20 anni, pensavo che lui neanche si ricordasse la mia faccia di ragazzino e invece mi venne incontro salutandomi con grande affetto, pensando anche che fossi milanista. Non fu facile poi confessargli che ero interista. Comunque lungi da me pensare che un paio di anni dopo sarei entrato a Fininvest e ci sarei rimasto per 27 anni».
Come è andata?
«Ero un ragazzo, fu tutto velocissimo. Nell'88 c'era bisogno solo di giovani intraprendenti per far nascere una redazione. Nell'arco di una settimana iniziavo lavorare sulle Olimpiadi di Seul in diretta su Telecapodistria facendo anche delle cronache di sport improbabilissime. E lui che ancora non era in politica, spesso passava dagli studi. Salutava tutti, motivava, divertiva, era affabile. Conosceva tutti per nome. Quando arrivava ti tremavano le gambe e lui magari faceva un buffetto: ciao Guido, ciao Mario, buon lavoro, che belle cose che state facendo. Beh ti carica, è inevitabile. Credo che molte delle cose rivoluzionarie che abbiamo fatto in quegli anni siano nate anche da quella sintonia, tra l'azienda e quel vulcano, in quella redazione che avrebbe cambiato un po' il linguaggio e la narrazione sportiva in tv. A me, ha cambiato la vita. È iniziata la vita che faccio oggi e che continuo a fare a Sky con grande entusiasmo».
Cosa ti porti dietro?
«Direi, la felicità. Sono entrato alla Fininvest in un periodo felice e oggi, dopo 35 anni, anche adesso che ho cambiato azienda continuo su quel cammino di felicità che ho iniziato quel giorno, nel 1988.
Il mio entusiasmo, la passione per il lavoro, per le cose che racconto, per quelle che penso di fare con chi lavora con me sono intatte. E posso dire che sono un po' figlie di quell'imprinting iniziale per il quale gli sarò sempre riconoscente».
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