È ancora una povera Italia: vittima di panico e frenesia

Anche nel pari con la Nuova Zelanda, azzurri sotto al primo assalto. Dov’è finito il muro di Berlino? Davanti mancano lucidità e cattiveria

Poche discussioni, è ancora una povera Italia. Costretta per la seconda volta consecutiva a fermarsi sul pari (sempre 1 a 1, proprio come col Paraguay) dinanzi a un rivale, la Nuova Zelanda men che modesto. Ci sarebbe da arrossire se non tornassero alla memoria collettiva altre cadenze dello stesso tipo (per esempio in Spagna ai tempi beati di Bearzot e Paolo Rossi) che hanno preparato cavalcate trionfali. Inutile coltivare sogni di gloria, questa volta. Servirebbe una magia e purtroppo nel gruppo dei 23 mancano anche gli apprendisti stregoni. Basta dare un’occhiata ai voti in pagella: se le migliori performances ci riportano a Zambrotta e Montolivo, si capisce che i margini di miglioramento sono enormi e al tempo stesso indecifrabili.

A questo punto la qualificazione azzurra è clamorosamente in bilico, con la miseria di 2 punti collezionati, dietro il Paraguay salito a quota 4 nel girone: bisognerà spezzare le reni alla Slovacchia giovedì pomeriggio per sbarcare agli ottavi di finale senza ricorrere al brivido della monetina. E il cammino non sarà più in discesa, come prometteva in caso di primo posto, ma diventerà una salita molto ardita: Olanda e Brasile i probabili snodi. Preparate le valigie, in questo caso, cari amici di Centurion.

È ancora una povera Italia nel gioco, nella personalità collettiva prima che nella ricerca, spesso da squadra bisbetica, dello sbocco naturale al gol. Arrivato ieri per merito di un attaccante di ruolo, Vincenzone Iaquinta, d’accordo, ma su rigore, un rigore generoso, fischiato dall’arbitro guatemalteco su segnalazione dell’assistente per una ingenua trattenuta sulla maglia di De Rossi, lasciatosi poi cadere come colpito da una folgore. Ha sagomato il palo lontano Montolivo con un destro potente, altre volte, sempre dalla media distanza, De Rossi e Camoranesi hanno mostrato alla platea il valore non proprio scadente del portiere Paston, preso in giro, secondo costume italico, da qualche superficiale cronista di Sky. Non c’è stato il deserto della precedente sfida: i centrocampisti hanno risposto al mandato ricevuto, sono mancate lucidità e cattiveria sotto porta, qualità che, a certi livelli, sono destinate a scavare la differenza.

Eppure Lippi ha dato fondo alle riserve del suo magazzino sistemato in panchina: è partito con Gilardino (il solito disastro annunciato: ma quando si deciderà a lasciarlo in disparte?) e Iaquinta, più reattivo e spietato dal dischetto, poi ha fatto intervenire Di Natale affidandogli il compito più di suggerire giocate che di procacciarsi la materia prima, e infine ha giocato la carta Pazzini nella speranza che uno dei tanti palloni lanciati nel mischione potesse far saltare il catenaccio della Nuova Zelanda, organizzato alla maniera antica. Nereo Rocco sarebbe impallidito dinanzi al suo involontario allievo, il ct Herbert. In tutta la partita è arrivato un solo lancio geniale, di De Rossi per Iaquinta, da 30 metri: uno, uno solo, troppo poco per forzare il blocco. È ancora una povera Italia con qualche complesso su cui intervenire prontamente. Per esempio il panico che s’impossessa dell’ex muro di Berlino ogni qual volta c’è un calcio di punizione e si presentano in area di rigore un po’ di corazzieri in maglia bianca. Al primo blitz, prese gol dal Paraguay, al primo lancio lo stesso malinconico epilogo, macchiato da un fuorigioco, non proprio facile da intercettare e segnalare. Tutti si concentreranno sul capitano Fabio Cannavaro, un obiettivo troppo scoperto per non ottenere solidarietà e comprensione da un vecchio estimatore. Piuttosto è da sottolineare la facilità con cui Gilardino, una canna vuota, si è lasciato spostare da Reid, che non è certo Tyson.

Due tiri in porta, due gol subiti: ecco l’inquietante media dell’Italia 2010. Un mondiale fa il grandissimo Buffon riuscì a incassare due reti in tutto il mondiale: capita la differenza? A dispetto delle sicurezze esibite, anche Lippi ha mostrato per la seconda volta di ondeggiare pericolosamente tra due moduli e i suoi diversi interpreti.

Ha preso l’abitudine di smontare all’intervallo lo schieramento iniziale, segno di inquietudine che non può giustificarsi con il discutibile contributo di Marchisio, a sinistra, o il difettoso copione recitato da Pepe. Forse era il caso di cominciare come ha finito la sfida, conoscendo la vocazione della Nuova Zelanda a rinchiudersi in casa.

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