Ankara rompe con Israele ma soltanto a parole

Espulso l’ambasciatore ad Ankara, cancellati i rapporti strategici, minacce. Ma gli scambi commerciali volano

Ankara rompe con Israele ma soltanto a parole

Con una furiosa dichiarazione il ministro degli esteri turco Davutoglu ha espulso ieri l’ambasciatore israeliano da Ankara; abbassato i rapporti diplomatici a livello di primo segretario; promesso di attuare un «Piano B» di sanzioni e rappresaglie; cancellato gli accordi strategici fra i due paesi; minacciato di congelare quelli economici. Dopo mesi di tensione drammatizzati dall’uccisione di nove attivisti turchi nello scontro sulla nave Mavi Marmara che volevano forzare il blocco di Gaza quindici mesi fa si è dunque giunti alla rottura definitiva fra i due vecchi alleati? Pare di sì ma probabilmente no.

I rapporti strategici e militari erano interrotti da tempo; l’ambasciatore turco era stato ritirato da Tel Aviv da oltre sei mesi; il rapporto Palmer dell’Onu sull’incidente della nave Marmara conferma il diritto israeliano di mantenere il blocco su Gaza, tutto questo mentre gli scambi commerciali fra i due paesi sono aumentati del 40% e la Turchia compra da Israele gli aerei senza piloti con cui bombarda i curdi.

La tensione non giova né a Israele né alla situazione nel Medio oriente. Garantisce il fallimento dei tentativi di Gerusalemme di bloccare alla Assemblea generale dell’Onu il riconoscimento dello stato palestinese. Ma questo non spiega la furia turca, a meno che non la si collochi nel quadro delle difficoltà che la Turchia incontra nel ripresentarsi sulla scena internazionale come grande potenza regionale e erede dell’impero ottomano. Il governo Erdogan trionfatore alle ultime elezioni generali è in guerra con i curdi; i suoi rapporti di grande stato sunnita con il vicino Iran sciita sono peggiorati; la rivolta in Siria ha privato Ankara del suo principale alleato nel mondo arabo; in Libia non ha potuto salvare né Gheddafi né gli enormi investimenti fatti in quel paese: in reazione alla sua politica anti israeliana ha visto avversari storici come Cipro, Grecia e Bulgaria avvicinarsi a Israele. Attaccarlo, farsi protettore dei palestinesi è il modo sicuro per avere la simpatia delle folle arabo islamiche, come del resto l’avrebbe avuta se Israele avesse accettato di piegarsi all’ultimatum turco di scusarsi per un’azione mal condotta ma di chiara autodifesa contro il tentativo di rompere il blocco di Gaza.

L’impressione è che si tratta di una tragicommedia dove le apparenze sono - per il momento - differenti dalla realtà.

In Israele essa mette fine alle discussioni all’interno del governo e della opinione pubblica fra partigiani delle scuse e del pagamento di compensazione per le vittime alla Turchia e gli oppositori convinti che non sarebbero serviti a nulla. Questo rafforza la posizione di Netanyahu, grande oratore ma leader indeciso a cui un nemico esterno capace di ravvivare l’atavico complesso ebraico di popolo perseguitato è sempre un utile alleato.

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