Per capire chi è Antonella Viola bisogna tornare con la mente al 20 febbraio 2020, l'inizio della pandemia. È il giorno da cui sono iniziate le sue notti insonni. Un po' per la mole di lavoro e l'adrenalina per un'emergenza che ci è piombata in testa in stile film di fantascienza, un po' per la rabbia, maturata dopo alcune dichiarazioni di colleghi che paragonavano il virus a un'influenza. A quel punto lei, immunologa all'Università di Padova, non ci ha visto più. Ha acceso il computer e, sulla stessa pagina Facebook dove fino a poco prima aveva pubblicato solo foto di vacanze con gli amici e ricette di cucina, ha iniziato a spiegare: perché il virus non andava sottovalutato, a cosa serviva il distanziamento, cosa rischiavamo.
Uno «sfogo scientifico» scritto con così tanto trasporto e chiarezza, che i suoi non sono rimasti solo post sui social ma si sono trasformati in articoli, interviste, interventi in tv. Per raccontare la verità della scienza. Risultato: Antonella Viola è ancora sotto scorta per le minacce degli anti vaccinisti. Ma non arretra di un passo sulle sue posizioni. E come frase chiave del suo profilo social, sceglie una massima del filosofo Karl Popper: «Quelli tra noi che non espongono volentieri le loro idee al rischio della confutazione non prendono parte al rischio della scienza». Le minacce, gli ostacoli non le hanno impedito di lavorare, anzi. In piena pandemia, si è concentrata (anche) su qualcosa di diverso dalla pandemia. E ha scritto, per Feltrinelli, il suo ultimo libro intitolato Il sesso è (quasi) tutto, un approfondimento su evoluzione, diversità e medicina di genere.
L'abbiamo conosciuta come immunologa e ora tira fuori questo jolly. Un libro, dal titolo ammiccante, che arriva proprio quando si spengono le luci sui virologi e che risvegliano l'interesse su un nuovo tema di medicina. Un caso?
«So che per il grande pubblico sono arrivata con la pandemia ma io mi occupo di divulgazione scientifica da tempi non sospetti. Avevo fatto un intervento sulla libertà e la scienza il 25 aprile 2010 alla Scala di Milano assieme al presidente Giorgio Napolitano. Se Napolitano ha chiesto a me, vuol dire che ero già un po' nota come divulgatrice scientifica».
Cos'è la libertà nella scienza?
«Quando ne parlai mi ero rifatta a Sant'Agostino: ama e fa ciò che vuoi. Secondo me però la premessa è: prima conosci. Non possiamo dire di amare qualcosa se non la conosciamo, altrimenti di cosa stiamo parlando? La vera libertà passa attraverso la conoscenza. La conoscenza è lo strumento per poter amare ed essere libera. Per questo sono socio onorario del Cicap, formato da Piero Angela, che si occupa di combattere le pseudoscienze».
Una battaglia cominciata ben prima del Covid.
«Sì, io mi ero occupata del morbillo, di Stamina, di integratori. Quello che la pandemia mi ha fatto scoprire è la capacità di scrivere che io non sapevo di avere. Scrivevo articoli scientifici ma mai un libro o un editoriale. Da qui è nato Danzare nella tempesta, un viaggio nella fragile perfezione del nostro sistema immunitario. Poi Feltrinelli mi ha chiesto di scrivere un altro libro. Ho pensato al tema della medicina di genere».
Politicamente e sociologicamente si tende ad annullare il genere. In medicina invece?
«In medicina abbiamo visto differenze là dove non ce n'erano, Ad esempio ci siamo concentrati tantissimo cercando di dare un sesso al cervello, dicendo che uomini e donne pensano in modo diverso. Non è così. Il cervello non ha sesso, è uguale per tutti. Ma non abbiamo dato valore alle differenze che effettivamente esistono come il metabolismo e la massa corporea, da considerare quando si parla di farmacocinetica. Il sistema immunitario è completamente diverso tra uomini e donne: l'80% dei pazienti che soffrono di malattie autoimmuni sono donne».
Ma spesso le cure sono le stesse.
«Fino al 1993 le donne non erano nemmeno inserite negli studi clinici, ora lo sono ma quando si raccolgono i dati su efficacia e sicurezza non si considera il genere e questo fa perdere delle differenze importanti. Compito di noi scienziati, visto che abbiamo avuto una grande attenzione, è parlare di cose importanti, di temi che sono vicini alle persone. Parliamo tanto di medicina personalizzata, ma se non distinguiamo almeno corpo maschile e corpo femminile...».
La diversità, quella di opinione, però può essere un pericolo senza conoscenza. Mi riferisco ai no vax.
«Diciamo innanzitutto che i no vax duri e puri sono una minoranza, gli altri sono quelli che hanno paura ed è proprio a loro che mi sono rivolta in questi due anni, cercando di convincerli a fidarsi. In generale non manca la cultura, ma manca la cultura scientifica, Manca l'approccio all'analisi razionale dei fatti e della realtà. E poi abbiamo tutti bisogno di far parte di qualcosa: sposare queste teorie così estreme ti fa sentire parte di una comunità, è quasi sentirsi un Don Chisciotte contro i mulini a vento. Quell'idea diventa identitaria, ci sentiamo vivi e individui grazie a quell'idea. Il complottismo, l'irrazionale sono più affascinanti rispetto alla verità».
Quanto tempo è rimasta sotto scorta dopo le minacce no vax?
«Sono ancora sotto scorta. Ce l'ho dal 4 gennaio. Non se ne parla ancora di levarmela. Questo mi ha peggiorato la vita. I miei figli sono liberi, hanno solo la volante che passa sotto casa. Io non posso fare nulla da sola. Prima lavoravo fino alle 20 di sera, ora lo faccio ma arrivando a casa presto, in modo che i Carabinieri possano andare a casa dalle loro famiglie. Ormai siamo amici».
Crede che la categoria dei virologi sia uscita ferita da questa pandemia?
«No, io sento tanto affetto attorno a me. Le persone in giro mi ringraziano, vogliono la foto, mi dicono che si sono vaccinate. Certo, una volta ogni due mesi mi arriva la mail del no vax di turno, ma non è nulla rispetto a quello che ricevo dalla gente. Il confronto è libertà di pensiero ed è fondamentale nella scienza. Nei congressi ci scontriamo spesso ma alla fin usciamo con un consenso. Il tempo per arrivare al consenso nei mesi dell'emergenza non c'è stato. Ma la scienza è fatta di confronto continuo».
Il vaiolo delle scimmie porterà a un'epidemia?
«Spero di no. Ci preoccupa perché è strano. Il virus ha cambiato il modo in cui si comporta. Chi si ammalava prima aveva contatto con animali o con zone dove c'era il virus. Qui vediamo trasmissione uomo uomo e quindo in qualche modo il virus è cambiato. Ci preoccupa che la maggior parte della popolazione non sia più vaccinata contro il vaiolo. Comunque non ha le caratteristiche di essere così trasmissibile come il Covid».
I suoi figli cosa le dicevano durante le giornate infinite dei primi mesi di pandemia?
«Mi hanno sempre visto lavorare tanto. E mi dicono: ma mai nella vita. Loro mi hanno sempre vista o in viaggio, o in laboratorio o a casa con un computer davanti. Però a me piace. Non vorrei lavorare meno. Non sono interessati a studiare quello che ho studiato io. Il più grande sta studiando Scienze dei materiali e ha seguito le orme del papà che è un chimico industriale, la sua azienda si occupa di corrosione degli oleodotti, degli acquedotti. Il figlio piccolo è artista, si occupa di grafica 3D e sogna di fare film di animazione».
Quindi in casa non si respira solo scienza ma anche un po' di arte?
«Io ho sempre studiato filosofia, letteratura. C'è bisogno di filosofia anche nella scienza, forse ora l'abbiamo capito. Abbiamo di fronte un futuro molto complesso, pieno di tante sfide e quindi c'è bisogno di multidisciplinarietà, di una visione un po' allargata. Oltre a leggere, suono anche la chitarra e scrivo canzoni».
Scrive canzoni? Ci racconti cosa.
«Diciamo che da quando c'è stata la pandemia la chitarra è rimasta appesa al muro. Non sono musicista. Le mie canzoni sono tremende e non le ascolterà mai nessuno. Scrivo ballate, cose molto semplici. Sono cresciuta con De Gregori, Guccini, Lolli, De Andrè. E poi i Pink Floyd».
Sarà mica andata a Venezia a vederli da ragazza?
«Purtroppo all'epoca non ero a Padova ma vivevo ancora a Taranto. Ora ascolto tanta musica classica, Bach e Chopin, aiuta a scrivere».
Ho visto che su Whatsapp ha l'immagine di una rosa tatuata su un braccio. Di cosa si tratta?
«È il braccio di mio marito Marco. Trent'anni fa, quando ci siamo conosciuti, gli ho fatto leggere il Lupo della steppa di Herman Hesse. In un passaggio del libro c'è scritto: questo è un teatro solo per pazzi. Quando lui mi ha chiesto di sposarlo io tentennavo, non sono fatta per il matrimonio, le cerimonie. Lui prese una rosa, la colorò di nero, mi scrisse una bellissima lettera e mi assicurò: Questo sarà un amore solo per pazzi. Per i suoi 50 anni si è tatuato la rosa con la scritta. Molto molto romantico».
E ha mantenuto la promessa? Si è rivelato un matrimonio per pazzi?
«Sì, decisamente. Lui mi ha dato molta libertà, in tutti i sensi. Lui è la mia libertà. Non mi ha mai limitato».
È stato mai geloso della sua improvvisa visibilità? Diciamo che essere una bella donna anche in tv aiuta.
«Penso di non essere così bella ma sorridente e il sorriso aiuta sempre. Una persona è più quello che trasmette: un po' di cultura, un po' di intelligenza, di empatia, di verve. Questo rende belli. Non nascondo che l'aspetto abbia aiutato, dà sicurezza e psicologicamente aiuta ad affrontare in un modo diverso le persone. Marco non è mai stato geloso. Al di là dell'aspetto fisico, mi ha aiutato molto il non tirarmi indietro: spesso quando ci viene fatta una proposta magari noi donne pensiamo di non essere all'altezza. Io vado, essendo insicura mi preparo molto, sono un po' secchiona».
Il mondo della scienza è molto maschile?
«Il mondo dei laboratori è femminile, quello accademico è maschile. Più si sale meno donne ci sono. Io mi trovo spesso a essere l'unica donna nella sala».
A inizio pandemia eravamo tutti uniti. Poi sono arrivati odio e divisioni... Che messaggio si sente di dare come donna di scienza? Se mai dovesse arrivare un'altra epidemia.
«La società è andata in crisi per vari aspetti, economici, sociali. Si sono create maggiori disuguaglianze. Quando arriva una crisi, chi sta male finisce con lo stare peggio. Dobbiamo puntare ad appianare queste differenze sociali e aiutare chi sta male. Altrimenti, ogni volta che arriverà una crisi, queste persone andranno sempre più giù, matureranno rabbia sociale. E poi dobbiamo puntare su una comunicazione che punti sulla solidarietà».
Però, va detto, la scienza ha comunicato in modo spesso contraddittorio e sclerotico.
«Credo che i momenti di confusione siano stati due: dire che è stata una banale influenza e dire che il virus era clinicamente morto, nell'estate 2020, una cavolata assurda, totale. Perché io sono stata pescata dai giornali? Perché nei primi giorni di pandemia, sulla pagina di Facebook dove scrivevo ricette e pubblicavo le foto degli amici, ho iniziato a dire la mia: ero furente e per rispondere a chi minimizzava ho iniziato a scrivere post sul virus. Da lì mi hanno chiamato giornali locali e via dicendo. I media hanno cercato lo scontro, che ha sempre fatto audience. Io ho sempre cercato di evitare il battibecco in tv.
Uno dei nostri problemi è stato un eccesso di testosterone in alcuni nostri comunicatori, perché tra persone di scienza, se usi un linguaggio più morbido, il punto di incontro lo trovi. Io direi che la scienza ne è uscita bene, l'88% si è vaccinato, si è fidato».
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