Antiprogressista, qabbalista e profeta. L'esorcista Singer a caccia di demoni

Ferocia teorica e arguzia sono le armi dello scrittore puntate contro i conformisti

Antiprogressista, qabbalista e profeta. L'esorcista Singer a caccia di demoni

Una delle scene di sesso più belle e più lugubri della letteratura occidentale è in un racconto che s'intitola Sangue. Isaac B. Singer narra di una donna, Risha, moglie di un possidente di trent'anni più grande di lei, indemoniata d'amore per un macellaio di nome Reuben. I due, nella scena capitale, si accoppiano dopo che lui con «un lungo coltello» ha «squarciato la gola delle bestie, una dopo l'altra». Urlano di godimento, nel macello, tra i «rantoli di morte delle bestie». Soltanto uno scrittore capace di sondare i misteri dei cieli sa dire con tale onnipotenza la carne: allo stesso modo, la Bibbia è impaniata di visioni divine e di patti di sangue, di angeli che bloccano la mano di un padre che sta per scannare il figlio, di voci tra le nubi e di donne che seducono il comandante dell'esercito nemico per conficcargli, dopo l'atto sessuale, un picchetto nel cranio (la donna si chiamava Giaele, l'episodio, narrato nel giubilo, si trova nel Libro dei Giudici, 4, 17 ss.).

Sangue è incapsulato in Gimpel l'idiota, straordinaria raccolta di racconti di Singer: pubblicata in origine nel 1957, in yiddish, uscì in inglese nel '64. Singer aveva quasi sessant'anni: il cranio calvo consegnava quel volto, sfaccettato, sfacciato, a una rapacità ulteriore. Pur vegetariano «è la mia protesta contro la condotta del mondo», diceva conosceva l'arte della predazione: amava le belle ragazze, da ragazzo aveva tradotto Knut Hamsun; nato a Leoncin nel 1903, si era trasferito negli Stati Uniti poco più che trentenne. Nel 1979, scrivendo intorno a una nuova edizione di Gimpel l'idiota, parlò di bozze rigettate, di racconti gettati nel cestino, del genio della spietatezza. Scrisse: «Sono cresciuto con l'idea che la letteratura debba avere qualità durature, non sia fatta per essere pubblicata per una stagione e scomparire nell'entropia delle edizioni economiche». L'anno prima gli avevano conferito il Nobel per la letteratura.

Singer, il Qoelet della letteratura occidentale, scrittore dal talento istrionico Philip Roth e Saul Bellow, al suo cospetto, si siedono cheti dietro la lavagna non sopportava gli scrittori con il culto dell'«originalità», «arrogante maschera dietro cui oggi si nasconde chi è privo di talento». Con eguale violenza, sbeffeggiava gli scrittori che hanno ridotto il romanzo a una branca della psicologia o della sociologia. Diffidava degli artisti che non credono in Dio («Il declino della letteratura e dell'arte nella seconda metà del Novecento è strettamente legato al fatto che un gran numero di persone ha smesso di credere in Dio»), che rifiutano di trafiggersi con «le cosiddette domande eterne: Perché sono nato? Perché devo morire? Perché sono qui? Qual è lo scopo di tutti questi giorni, di tutte le mie lotte e di tutte le mie delusioni?». Odiava i progressisti. «Il Satana del nostro tempo recita la parte dell'umanista e ha un unico desiderio: salvare il mondo», scrive nel testo che apre A che cosa serve la letteratura? (Adelphi, pagg. 156, euro 19), cornucopia di riflessioni che ci riconcilia con la grande letteratura. Per ferocia teorica, l'arguzia di Singer è paragonabile soltanto a quella di Nabokov (leggetevi Intransigenze, Adelphi, 1994); le conclusioni, tuttavia, sono sostanzialmente opposte: sarebbe bello vedere i due, Isaac e Vladimir, sfidarsi a scacchi. Secondo Singer, «Il bravo scrittore è quasi sempre anche un bravo giornalista». Nel saggio che dà il titolo alla raccolta adelphiana, Singer prevede la nascita dell'intelligenza artificiale: «Di fronte a una macchina in grado di raccontare storie e scrivere testi teatrali le persone creative non avrebbero più uno scopo».

I testi miliari del libro, ad ogni modo, sono due. Il primo s'intitola Letteratura per bambini e adulti. Singer crede che i bambini siano l'estrema salvezza della letteratura: esigenti, sfrontati, hanno «un senso istintivo del soprannaturale»; se un libro non li soddisfa, non cedono alle mode, lo gettano nel cestino. «Ai bambini non importa essere al passo coi tempi»: più savi dei loro genitori, «non è un'esagerazione dire che sono la nostra unica speranza per tornare ad avere fiducia in un universo ordinato».

Figlio di un rabbino chassidico, Pinchos Menachem, Singer da bambino discuteva animatamente con uno dei suoi fratelli, Moshe, sulla prossima venuta del Messia. Il fratello più grande, Israel l'autore de I fratelli Ashkenazi e di Yoshe Kalb, morto a New York nel 1944 , che aveva scoperto Spinoza e Darwin, Kant e Freud, litigava con la madre: lei, «il volto bianco ed esangue», leggeva «libri di morale»; lui l'accerchiava, «l'Onnipotente non esiste, l'uomo è un animale come tutti gli altri». Il libro in cui Singer racconta la sua infanzia, Ricerca e perdizione, è tra i suoi più belli, pur bizzarramente negletto dal mercato editoriale: esiste una pubblicazione Guanda di oltre vent'anni fa, nell'ottima traduzione di Mario Biondi. In quel libro uscito in origine nel 1981 Singer si fa il ritratto: «Precisamente, ecco ciò che ero: spezzato, lacerato, forse un unico corpo con molte anime, ciascuna delle quali tirava in una direzione diversa. Vivevo come un libertino, eppure non cessavo di pregare Dio e di invocare la Sua misericordia; violavo ogni legge e al tempo stesso leggevo libri cabbalistici... A tratti la mia potenza sessuale era incredibile e di punto in bianco diventavo impotente. Dentro di me si annidava qualche sorta di nemico».

La passione per la Qabbalah è il secondo motivo d'interesse di questo libro. La Qabbalah e i tempi moderni è un ottimo passepartout per cominciare a scardinare i sortilegi dello Zohar e le vertiginose speculazioni di Isaac Luria. Singer ammette che la Qabbalah ha esasperato la sua facondia immaginativa. Anche Nelly Sachs ha detto di scrivere sotto ispirazione della Qabbalah: nel 1966 le hanno conferito il Nobel per la letteratura. In un passo di particolare potenza, Singer scrive: «Tutti i problemi che riguardano Dio possono essere ridotti a un'unica domanda: perché la sofferenza? La risposta è: senza sofferenza non esiste arte. La sofferenza e la gioia sono gli elementi del dramma divino. Dio, il Creatore, è il Sofferente Universale. La nostra sofferenza è la sua. Noi siamo lui». In un passo, Singer dice di «un vecchio, un veggente», che riusciva «a leggere il testo di un libro chiuso». Il nonno di Singer, il rabbino di Bigoraj, sfiorava la pagina di un volume spalancato a caso, «e lui la recitava». Non è già la filigrana di un romanzo?

Secondo Singer, lo scrittore è un cacciatore di demoni è a caccia del nemico conficcato nei recessi del suo cuore.

Sa che la caccia non avrà mai termine: noi, lettori, smarriti in questo infinito esorcismo, udiamo la corsa, lo squittio delle creature infere, l'affanno e il fascino, il fruscio di una freccia, la lama che feconda una qualche fede.

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