Da Antonello in poi l'arte è sempre contemporanea

Il Mart ha un progetto preciso: far dialogare autori di epoche diverse cogliendone le affinità

Che dopo anni di studi di arte antica, di saggi e mostre su pittori del Rinascimento e dell'età barocca, insieme alle presidenze di Ferrara Arte con il mitico Palazzo dei Diamanti, e della Fondazione Canova di Possagno e altre varie civiche responsabilità, avrei avuto la responsabilità di presiedere il primo Museo di Arte Contemporanea in Italia, il Mart di Rovereto, era difficile immaginare.

Ma è un incarico di cui sono orgoglioso, per una ironia della sorte che restituisce all'arte la sua dimensione senza tempo, quella stessa per la quale l'architetto dell'edificio che irrompe nella tessitura urbana di Rovereto, Mario Botta, si è ispirato al Pantheon. Una singolare congiunzione fra volontà politica, in una città al confine fra due mondi, visione utopica della Direttrice dei Musei del Trentino Gabriella Belli, e creatività dell'architetto, chiamato a dar corpo a quei pensieri e a quelle idee, fu all'origine del Mart. Un sogno, quello di Pietro Monti, sindaco, che volle un museo così grande a Rovereto, dopo gli anni in cui le iniziative e le mostre si realizzavano in Palazzo delle Albere, un mirabile edificio del Cinquecento, a Trento, dove io vidi operosa, alle felici origini della sua carriera, Gabriella Belli. Io c'ero già allora, e avvertii con compiacimento, attraverso la costruzione del Mart, il passaggio di Rovereto da piccola città di provincia a capitale dell'arte europea. A una domanda se la mia nomina a Presidente fosse opportuna, Monti, sindaco e primo presidente, ha risposto: «Bene lo vedo, benissimo direi. E prima di tutto per un motivo: Sgarbi è sempre stato un sostenitore del Mart, fin da quando nel 1992, a Rovereto per un anniversario alla Campana dei Caduti, gli avevo mostrato in Municipio il plastico di quello che era ancora solo un progetto. Aveva avuto immediatamente giudizi molto positivi. Diceva che realizzare opere di questo genere e di questa portata è fondamentale per un territorio che si vuole rilanciare. Da allora in poi ha sempre seguito il progetto. Ricordo una sua visita, poteva essere il 2001 o l'inizio del 2002, quando da presidente lo avevo accompagnato a visitare il cantiere ormai in fase avanzata. Tra chi lo accompagnava c'era stato chi aveva provato a portarlo sul terreno dello spreco di risorse - il progetto era stato oggetto di polemiche politiche importanti - ma alla sua maniera lo aveva difeso con forza, sia come idea che come dimensioni. Ribadendo che era importante per tutto il Trentino e quindi proporzionato alla portata degli scopi che aveva. Poi la sua presenza ad inaugurazioni ed eventi significativi è stata assidua e sempre positiva. Insomma, lo metterei tra i sostenitori da subito del museo e non ha mai cessato di esserlo, anche quando ragioni politiche potevano rendergli conveniente sostenere il contrario».

Il museo, oltre a una serie di importanti mostre nella sua naturale vocazione, nel 2014 propose una grande esposizione di Antonello da Messina, voluta dalla Direttrice di quel tempo, Cristiana Collu, che aprì la strada all'interpretazione estensiva che io perseguo: tutta l'arte è arte contemporanea. Ed è mio intendimento dimostrarlo. Si tratta di ripartire di lì. Così, non posso che compiacermi del fervore che accende in Trentino ognuno a prender parola, contando sul parafulmini provvidenzialmente arrivato a Rovereto, per presiedere il Mart. Per capirlo, ecco, fra gli altri, un rispettabile filosofo, Franco Rella, al quale pur mi avvicinano comuni letture (Conrad, London, Valéry, Kafka, Pavese, Nietzsche, Bataille), avanza una sua personale polemica. Rella, rivendicando le sue origini e la sua permanenza a Rovereto, sembra voler innanzitutto resistere alla mostra giusta, ritenendola forse non necessaria nella sua città di origine, di Fortunato Depero: «Ricordo che il Mart è nato proprio dal superamento dell'idea di un Museo Depero. È nato con l'idea di creare un'istituzione che dialogasse con le istanze più significative dell'arte e della cultura moderna e contemporanea. Era un progetto molto ambizioso». Poi parte all'attacco: «Vittorio Sgarbi non ha un progetto vero. Elenca delle mostre fatte e delle mostre a venire, senza esplicitare un progetto culturale, una strategia».

Dovrò deluderlo: il mio progetto c'è, e coincide con il suo: e la mia strategia è «urtare contro i limiti». Come lui chiede. Soprattutto, i limiti del tempo. Per questo, dietro ogni mia proposta c'è la coscienza della natura e delle funzioni del Mart, per l'arte moderna e contemporanea. Quindi: «Caravaggio. Il contemporaneo» (in dialogo con Cagnaccio di San Pietro, Pasolini, Burri) e, a fianco, Ventrone e Samorì; Bernardo Strozzi e Yves Klein; «Botticelli. Il suo tempo. E il nostro tempo», «Picasso, de Chirico, Dalí in dialogo con Raffaello», e, a fianco, Wainer Vaccari e Lino Frongia; «Canova, tra innocenza e peccato» (in dialogo con Brancusi e interpreti del nudo come Helmut Newton e Mapplethorpe), «Giovanni Boldini. Il Piacere», in dialogo con D'Annunzio; Leonardo Cremonini e Karl Plattner, per ricordare i filoni principali. A Palazzo delle Albere, in condominio con il Muse, dopo le mostre degli storici artisti trentini, due contemporanei di grande attualità e popolarità: Steve McCurry e Banksy. Alla Civica di Trento, dopo l'omaggio all'architetto trentino Gian Leo Salvotti de Bindis, la «Camera picta», giovani in dialogo con gli affreschi della Torre dell'Aquila nel Castello del Buonconsiglio, in attesa del grande artista americano Alex Katz.

Mi pare che, a grandi linee, il progetto si possa intravedere. Un momento importante per indicare il contributo di grandi donne all'arte del Novecento, dopo Margherita Sarfatti (con il vasto materiale documentario appartenente al Museo), è stata la ricca mostra su Isadora Duncan, grazie all'impegno di valorosi studiosi come Carlo Sisi e Maria Flora Giubilei che hanno indagato i rapporti della danzatrice, oltre che con i pittori, con gli esponenti della cultura letteraria e filosofica del tempo, fra i quali è possibile incrociare Weininger, come è rilevato nel saggio Isadora Duncan as metaphysical heroine di Keala Yewell. L'impegno dei curatori del Mart ha reso la mostra formidabilmente utile.

Quanto alle mostre di Tullio Garbari e di Umberto Moggioli, esse hanno avuto il significato di sottrarre ai ricchissimi depositi, dopo troppo lungo tempo, i dipinti degli artisti appartenenti al Mart, per esporli in uno spazio ancora provvisorio, e in attesa di essere riadattato. Per Melotti, tale è la mia considerazione dell'artista che il mio progetto è disporne definitivamente le opere nel piano del Mart che è occupato da «Idola Tribus», per poterlo trovare tra Osvaldo Licini e Lucio Fontana. Ordinare per valori estetici certi, non «destrutturare»; ovvero, in continuità con le grandi mostre, illustrare le ragioni del contemporaneo, non l'irruzione. Infine: occorre restituire lustro a Carlo Belli. Affiancherei stabilmente a Melotti il Belli teorico di Kn, il manifesto dell'Astrattismo italiano.

Insieme alle attività espositive, che sono lo spirito del Mart, le collezioni sono costituite da opere di proprietà della Provincia e da ingenti depositi di collezioni private, prevalentemente di arte del Novecento: dipinti, disegni, incisioni e sculture, con nuclei importanti soprattutto per quanto riguarda le avanguardie. Presenti molti maestri come Giorgio de Chirico, Gino Severini, Massimo Campigli, Carlo Carrà, Mario Sironi e il futurista roveretano Fortunato Depero. Notevoli i nuclei delle collezioni Talamoni, Ferro e le variegate raccolte VAF-Stiftung.

Imponente il fondo di documenti e archivi, preziose fonti per lo studio degli artisti del Novecento.

Intanto la ripresa autunnale aumenta lo sconcerto sulla vocazione del museo, con una mostra sul più grande artista novecentesco del Rinascimento: il falsario Alceo Dossena.

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