Aprile 1948, l’Italia entra nel patto di Varsavia

Immaginate la scena: 18 aprile 1948, elezioni nazionali. Nello scontro Dc-Fronte popolare, a spuntarla sono i socialcomunisti di Togliatti e Nenni. Giuseppe Romita è nominato presidente del Consiglio, Giancarlo Pajetta ministro dell’Interno, mentre «il Migliore» continua a fare il segretario di partito. L’Italia si allontana dagli Stati Uniti per deragliare nella sfera di influenza dell’Unione Sovietica, l’inflazione galoppa, il terrore dilaga fino a trasformarsi in scontro sociale.
A raccontare simili scenari è un libretto pubblicato poco prima delle fatidiche elezioni di 59 anni fa. Reca la firma di Donato Martucci e Uguccione Ranieri. Per capirne la genesi è meglio affidarsi a ciò che scrive Giovanni Ansaldo nel suo diario: «Longanesi s’è buttato anima e corpo nel lavoro di propaganda: manifesti, volantini eccetera. Di manifesti ne ha fatti alcuni molto efficaci... E infine, per conto della Dc ha stampato un opuscolo Non votò la famiglia De Paolis, scritto da due giovanotti del ministero degli Esteri; un piccolo capolavoro. Ne sono state tirate duecentocinquantamila copie, che saranno distribuite dalla Dc; e sono poche». Ecco dunque spiegata la nascita di questo breve apologo, ora ripubblicato da Le Lettere (pagg. 92, euro 11).
La vicenda narra la sorte del povero signor Gualtiero De Paolis, professore romano, che decide di non votare il 18 aprile. La motivazione è spiegata in una lettera a un amico: «Si fece la fila per un’ora, ma partiva il treno per Frascati e abbiamo rimandato al ritorno. A Frascati invece mia suocera ci ha persuasi a passare la notte da lei... E cosi è andata. Del resto, voto più, voto meno, in tanti milioni... ». Il «borghese» De Paolis pecca così del tipico difetto del suo ceto: l’indifferenza, che presto però scotta con la presa del potere da parte dei socialcomunisti. A poco a poco, infatti, «il pane sulle bancarelle sale a 80 lire lo sfilatino», «il decreto del mese scorso fa obbligo a tutti i giornalisti di denunciare il partito a cui appartengono» e via di questo passo fino ad arrivare all’estromissione dei socialisti dall’esecutivo (Nenni viene incarcerato) e a un nuovo governo Longo, con un giovanissimo Berlinguer nei panni di occhiuto inquisitore. Il destino di De Paolis, del resto, non è da meno di quello dell’Italia intera: per una banale querelle viene sospeso dall’insegnamento e arrestato con moglie e figlio.
L’apologo sull’ignavo professore è così sapientemente orchestrato da darci la certezza che dietro di esso non possa non esserci il genio longanesiano. Non è un caso che proprio Longanesi autograferà una copia di un altro libello, sempre a firma di Martucci e Ranieri, scrivendo: «Martucci e Ranieri sono io... ma non lo dire a nessuno». Fino a che punto il genio di Bagnocavallo abbia dato il proprio contributo non è dato sapere.

Come non si sa quale reazione avrebbe avuto se, sessant’anni dopo, avesse assistito all’ascesa a terza carica della nostra democrazia di un comunista che «sogna l’abolizione della proprietà privata» e che si diletta nella scelta di preziosi cachemire e costosi portaocchiali. Peccato: quasi certamente sarebbe nato un altro, divertentissimo, pamphlet.

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