Dopo Armstrong spunta Landis Il Tour in Usa per l’ottava volta

Lo statunitense riconquista la maglia gialla e ipoteca il trionfo

Pier Augusto Stagi

Nel Tour delle sorprese ecco la soluzione più prevedibile: vince Floyd Landis, l’anti-Armstrong. Americano pure lui, per tre anni al servizio del texano, da due messosi in proprio per cercare fortuna e oggi pronto a sfilare sui campi Elisi in maglia gialla, per la gioia dei suoi genitori, di religione mennonita (setta che odia la modernità: telefono, televisore, macchine ecc.), che fecero di tutto per ostacolare il loro ragazzo che, pur di imporsi e diventare un corridore professionista, arrivò ad allenarsi di nascosto e di notte, alla luce di una pila. L’americano della Phonak arriva terzo nella cronometro decisiva, alle spalle dell’ucraino Honchar e del tedesco Kloden e in virtù di questo risultato strappa la maglia gialla allo spagnolo Oscar Pereiro, fino ad un anno fa compagno di squadra di Landis, e si deve accontentare della seconda piazza in classifica generale. A trentasei anni Sergej Honchar si toglie la soddisfazione di vincere la sua seconda crono in questo bizzarro e sconclusionato Tour de France. L’ucraino della T-Mobile, con i suoi rapportoni impossibili, domina la prova contro il tempo spazzando nuovamente tutto e tutti. Alle sue spalle contengono il suo strapotere Landis e Kloden, quest’ultimo l’unico a restare sotto al minuto di distacco. Pereiro ha il compito più difficile, difendere l’esiguo vantaggio di 30 secondi che ha in dote. Sono pochi, pochissimi, soprattutto se c’è da difendersi contro uno specialista del cronometro come Landis. Il primo rilevamento, dopo 16 km è buono: solo 10” il suo gap. Ma col passare dei chilometri la sua azione si scompone, la sua pedalata si fa più pesante e meno efficace, i secondi diventano minuti. Il sorpasso virtuale avviene dopo una trentina di chilometri. Lo spagnolo fa valere i suoi 2’29” di vantaggio per difendere la seconda posizione contro il ritorno poderoso di Kloden, che con un’ottima prova butta giù dal podio Sastre, che è forse l’unico veramente a versare lacrime amare. Sorride come un bimbo felice, Damiano Cunego, che disputa la cronometro più bella della sua carriera (decimo all’arrivo) e non solo risale qualche posizione in classifica generale (dodicesimo, migliore degli italiani) ma resiste al tedesco Fothen per la speciale sfida che premia il miglior giovane del Tour e oggi, per questo, vestirà definitivamente la maglia bianca quale migliore speranza di chi sogna in grande. Di chi sogna la Grande Boucle. «Avevo solo 5” da difendere da Fothen, che sulla carta era molto più forte e dotato di me nelle prove contro il tempo - ha raccontato raggiante il veronese -, ma dopo una corsa dura e massacrante come il Tour, dopo tre settimane di battaglia come queste, conta essere più freschi, avere più motivazioni e più gambe per poter fare bene. Questa è una maglia che mi riempie di orgoglio, è un risultato che voglio condividere con tutti quelli che hanno continuato a credere nel sottoscritto, ad incominciare dal mio tecnico Beppe Martinelli».
È finalmente sorridente e felice Damiano Cunego, dopo tre settimane di battaglia sul filo dei 50 all’ora, dopo un’ultima settimana durissima, sulle più alte vette alpine. «Ero venuto qui per imparare e penso di aver raccolto qualcosa di buono – dice il Piccolo Principe, che dai suoi tifosi, per la maglia bianca è stato ribattezzato “galattico” -. Ho sfiorato il successo all’Alpe d’Huez, ma è stato bello anche arrivare secondo. Sono venuto all’università del ciclismo e me ne torno a casa con un bel master e un bell’attestato.

Il Tour o ti piace o non ti piace: a me e piaciuto da pazzi. Rammarichi? Volevo andare a far visita alla tomba di Jim Morrison, il mio idolo, ma non ce la faccio. Devo fare tutta la premiazione, devo salire sul podio di Parigi, sarà per la prossima volta».

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