Le armi distruggono i giovani di Napoli

Credo che si sia trattato di un incidente, che purtroppo capitano quando si manovrano pistole senza disporre dell'esperienza e delle competenze necessarie per toccare e detenere un'arma

Le armi distruggono i giovani di Napoli
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Gentile Direttore Feltri, ma è mai possibile che a Napoli gli adolescenti se ne vadano in giro armati di pistola ammazzandosi tra di loro? Non bastava l'omicidio di Santo Romano, ora un'altra vittima, Arcangelo Correra, un diciottenne stroncato da un colpo di arma da fuoco che lo ha raggiunto alla testa, ammazzato dal cugino di 19 anni, che sostiene di essere stato ignaro che la pistola fosse vera e di averla trovata per strada. Sono cattivo se ammetto che questa spiegazione mi convince poco?

Simone Belcastro

Caro Simone,
se sei cattivo tu, allora lo sono pure io. Per quanto si possa essere giovani, è facile distinguere un'arma autentica, in questo caso una Beretta calibro 9x21, da una pistola-giocattolo. La prima ha una consistenza e un peso ben diversi da quelli di un giocattolino. Quindi io ritengo che i ragazzi sapessero bene che stavano maneggiando un oggetto pericoloso, acquistato chi sa dove, venduto chi sa da chi, per compiere chi sa cosa. Tuttavia, potrebbe anche essere che l'arma sia stata trovata per strada, come i funghi nel bosco, prendiamo atto allora che nel capoluogo campano possa avvenire pure questo evento surreale. Credo che Renato Benedetto Caiafa, il diciannovenne, ora indagato per omicidio colposo, che ha sparato, uccidendo il cugino, Arcangelo Correra, 18 anni, non avesse intenzione di fare fuori il familiare, che si sia trattato insomma di un incidente, uno di quelli che purtroppo capitano quando si manovrano attrezzi di questo tipo senza disporre dell'esperienza e delle competenze necessarie per toccare e detenere un'arma. Pensa che capitano pure a chi l'esperienza ce l'ha. Per questo ottenere un porto d'armi non è agevole, io lo so bene, essendone munito. È evidente che a Napoli esiste un esteso mercato nero delle armi, aperto persino ai giovanissimi, acquirenti che magari con pochi soldi riescono a comprare in gruppo una pistola allo scopo di sentirsi forti o di mettere a segno rapine e delitti simili, se non ben più gravi. Questo vuol dire che chiunque, camminando per le strade di Napoli, strade bellissime, rischia di incappare in uno di questi ragazzini armati come soldati pronti alla guerra. Molti di loro sono manovalanza a bassissimo costo della camorra, altri sono autodidatti senza affiliazione, minori evidentemente abbandonati a loro stessi, nati e cresciuti in famiglie disfunzionali, caratterizzate dall'assenza o dal menefreghismo delle figure di riferimento, ovviamente quelle genitoriali, i quali trovano sicurezza, unione, coesione, rifugio nel branco.

Renato Benedetto Caiafa è fratello di Luigi, giovane che fu ammazzato in una rapina nel 2020. Sembra la trama di una tragedia greca che si consuma all'interno di una famiglia, dove si muore, si uccide, si resta uccisi. Una tragedia che accomuna troppe famiglie in quell'area. Però, se lo dichiari, vieni accusato di essere razzista contro i napoletani, mentre denunci un fenomeno che andrebbe indagato allo scopo di combatterlo, allo scopo di mettere fine a questa scia di sangue che macchia i vicoli di una delle città più incantevoli del mondo.

Oltre alla facilità raccapricciante con la quale è possibile racimolare un'arma in quel di Napoli e oltre alla verdissima età dei possessori abusivi di pistole e fucili, desta sconcerto lo scarso valore attribuito alla vita da parte degli adolescenti. Non soltanto alla vita altrui ma anche alla propria, perché se intraprendi certi percorsi, quello della devianza, quello della delinquenza, che sono percorsi di morte, di pena, di assenza di prospettive e di luce, è evidente che ti manca la consapevolezza dell'importanza della vita e che dai poco valore anche a te stesso.

E mi dispiace insistere: responsabili sono le famiglie, perché sono loro a non averlo trasmesso ai figli, ragazzini poco più che bimbetti, che ancora puzzano di latte, che dovrebbero giocare a pallone, studiare, frequentare le scuole e i centri sportivi, magari anche l'oratorio, come abbiamo fatto noi,

cercare di capire cosa fare da grandi, ma che si ritrovano a giocare con l'esistenza propria e dei loro coetanei. Nel caso migliore, finiranno in galera; nel caso peggiore, al cimitero.

Diamine se non fa paura. E pure rabbia.

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