"Vi racconto i musei del futuro. Così il Covid è diventato un'opportunità"

"Italia in cambiamento nella gestione della cultura". Il direttore di Brescia Musei, Stefano Karadjov, spiega a ilGiornale.it le tendenze emerse da un confronto sul tema con gli esperti di 12 Paesi

"Vi racconto i musei del futuro. Così il Covid è diventato un'opportunità"

Non solo e non più semplici gallerie d'arte. Anche in Italia i musei diventeranno sempre più luoghi di confronto e di sintesi tra i capolavori senza tempo e la contemporaneità. Ne è convinto il direttore della fondazione Brescia Musei, Stefano Karadjov, tra i promotori di un progetto culturale dedicato proprio a questo tema. L'iniziativa – intitolata "Open Doors. Il museo partecipativo oggi" – si è conclusa recentemente dopo un ciclo di otto incontri che ha coinvolto oltre 50 relatori provenienti da 12 Paesi, con migliaia di fruizioni online. I più accreditati esperti italiani e internazionali nella gestione e nella valorizzazione dei patrimoni culturali si sono confrontati sul futuro delle strutture museali, toccando argomenti che anche il nuovo ministro della cultura Sangiuliano aveva messo nei giorni scorsi al centro dell'attenzione.

Karadjov, cosa è emerso da questa vostra iniziativa?

Che i musei sono molto più di semplici luoghi in cui si conservano e valorizzano delle opere: sono dei veri e propri cantieri di comunità, dei luoghi nei quali la partecipazione diventa inclusione sociale e fonte di arricchimento. Mettendo assieme il grande patrimonio artistico che costituisce la nostra identità e ragionando anche in termini di storytelling attraverso gli eventi, ci siamo resi conto che i musei sono aggregatori di competenze capaci di toccare anche i temi contemporanei. Dalle esperienze arrivate da ben 12 Paesi abbiamo scoperto che c'è una creatività incredibile nel disegnare nuove forme di partecipazione.

Un esempio?

Ce ne sono vari: dalle mostre co-create con il pubblico, alla possibilità di coinvolgimento offerta a persone con patologie o disabilità sensoriali. Ci sono iniziative che nella società civile sono solitamente spezzettate e che invece nei musei, ormai luoghi molto accoglienti, possono trovare una sintesi. Su questo fronte in Italia siamo ancora in una fase di cambiamento e ne vedremo delle belle.

A proposito di cambiamento: come sta andando il passaggio alla fase post-pandemica, dopo i mesi delle chiusure?

Il Covid è stato un dramma che ha spezzato vite e tolto a molti il lavoro, ma è stato per certi versi anche un attivatore di opportunità. Sino a pochi anni fa, ad esempio, Brescia non si sarebbe mai immaginata con la propria fondazione di produrre un ciclo di talk con 50 relatori da 12 Paesi per discutere di ridefinizione dell’identità museale contemporanea. Questa attività, prima, la facevano gli atenei o il ministero; invece l'abitudine alla possibilità di realizzare incontri 'da remoto' ha consentito di creare un evento del genere. Abbiamo avuto un pubblico di migliaia di persone collegate dall'Italia e dall'Europa. Integrando iniziative in presenza e opportunità online, anche il museo si è scoperto un media content creator.

Cosa manca ai musei italiani rispetto alle esperienze straniere?

Manca un approccio che forse nei Paesi anglosassoni risulta più facile, perché là sono meno influenzati dal patrimonio storico antico. Mi riferisco alla capacità di intercettare una progettualità dal basso, ad esempio attraverso mostre co-create da gruppi di persone che già frequentano assiduamente il museo. Nei Paesi del nord Europa questo già accade, da noi c’è ancora una resistenza culturale e invece ci vorrebbe un cambio di approccio.

Nei giorni scorsi il ministro della cultura Sangiuliano ha posto il tema del costo dei biglietti dei musei, in Italia più bassi che all’estero. Perché è giusto discuterne?

Perché è giusto allinearsi a un uditorio internazionale, pensando anche ai ricavi che i musei utilizzano per sostenere le loro attività. Allo stesso tempo condivido quello che ha detto il sottosegretario Vittorio Sgarbi, ovvero che i musei delle varie città sono un patrimonio delle persone che abitano quel luogo. Chi ha più bisogno di accedere a quel patrimonio se non coloro che vivono quello spazio e che lì hanno le loro radici culturali? Da un lato è giustissimo posizionare l'offerta museale in linea con i prezzi di altri impegni del tempo libero, dall'altro è giusto offrire un accesso privilegiato all'utenza che è più prossima a quel museo.

Il ministro ha poi posto l’attenzione su un altro aspetto: la giacenza di molti capolavori nei depositi. Come si potrebbe valorizzarli?

In genere le opere stanno nei depositi per qualche motivo, magari perché devono essere restaurate. Quello di valorizzare al meglio i depositi è un bellissimo incentivo, soprattutto a chi li conserva. Qui a Brescia Musei facciamo una continua rotazione di opere, perché oggi il criterio museale non è più quello dell'esposizione permanente. Quindi bisogna valorizzare i depositi creando rotazioni e nuclei tematici espositivi per creare mostre itineranti che possono anche andare all'estero e valorizzare l'immagine del nostro Paese. I nostri depositi sono aperti e di tanto in tanto invitiamo dei donatori che prendono parte a delle sorta di 'aste' sulle opere in restauro per prendersene cura.

Il tema del mecenatismo come alternativa ai fondi statali è interessante. Il futuro passa da lì?

Sì, la tendenza degli ultimi decenni è stata quella di una progressiva restrizione delle risorse destinate alla cultura, ma questo non è deprecabile del tutto in quanto in parallelo ha stimolato l'ingresso di nuovi operatori privati che fanno lavori di altissima qualità. E si è anche generata una nuova partecipazione di sponsor, aziende. Questo non solo è un dato di fatto, ma anche un esercizio auspicabile perché pone criteri di buon governo al patrimonio: i mecenati infatti si spendono là dove osservano che le cose vengono gestite bene. La sussidiarietà, anche in campo culturale, porta dei benefici.

La politica cosa può fare?

Ci vorrebbe una maggior detraibilità delle spese per la cultura, così come la deducibilità delle spese culturali come se fossero sanitarie. Andare a vedere un museo o ad ascoltare un concerto fa bene alla persone, non vedo perché non si possa portare al 19% in meno il biglietto del museo. Sarebbe semplicissimo e allo stesso tempo un grande incentivo per noi del mondo culturale.

Cosa pensa degli ambientalisti che imbrattano le opere d’arte?

Per certi versi hanno vinto loro, perché il loro obiettivo è far parlare di sé.

Le modalità sono molto opinabili, però in un discorso di apertura dei musei al mondo trovo positivo che anche questi spazi siano parte attiva in un discorso sulla sostenibilità. Bisogna condannare gli atti violenti e lesivi delle opere, ma anche i musei devono rientrare nel processo di cambiamento sul clima. Anche questa è partecipazione.

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