Macché retorica fascista. Questa è pura umanità

"Il Partente" di B.T. Poidimani e "La forza bruta" di Domenico Ponzi hanno la potenza della classicità

Macché retorica fascista. Questa è pura umanità

Le scoperte di notevoli artisti recenti, intendo degli anni trenta del Novecento, sono talora sorprendenti; e fanno capire la forza della damnatio memoriae rispetto alla produzione creativa, individuale, soprattutto di scultori, durante il Fascismo.

Il loro spirito celebrativo, anche quando patriottico, è respinto da una sensibilità che registra piuttosto tormenti e crisi che valori integri e solenni. Paternità e maternità non sembrano più consentiti, come se fossero, per sé stessi, inevitabilmente retorici. Nel dopoguerra si affermano, al di là delle prevalenti opzioni non figurative, artisti come Alberto Giacometti o Agenore Fabbri, cui sono consentiti soggetti virili, essenziali e rarefatti, prosciugati, o familiari, nel dolore e nel tormento.

Lo pensavo ieri visitando a Roma il remoto Museo Storico della Fanteria, dominato all’ingresso da una straordinaria scultura totalmente sconosciuta. E più intensa che retorica, in una coincidenza estetica tra propaganda patriottica (e per ciò stesso fascista) e realismo socialista: l’abbraccio e il saluto tra un soldato che va in guerra e il suo bambino. Niente di più che la verità, di atteggiamenti e di sentimenti. Una grande scultura di marmo, molto espressiva. In divisa, a gambe aperte con gli scarponi, lo zaino sotto i piedi, il soldato solleva il figlio, lo stringe al petto con mani ferme e lo bacia con drammatica intensità. Belle le gambe strette del bambino emozionato, forte la testa del padre risoluto.

Retorica? Forse. Certamente commovente. Una targa ci dice che il titolo è Il Partente, lo scultore B. Poidimani, che è stata esposta alla XXIII Esposizione d’arte di Venezia (quella del 1942), che ha vinto il premio S. Remo nel 1938.

E che, infine, al Museo della Fanteria, l’ha «donata» nel 1960 il ministro della Difesa on. Giulio Andreotti. Poco prima che l’Italia, in un delirio vegetariano, si riempisse di Pomodoro. Saggio, e forse inconsapevole, Andreotti.

Mentre mi accingo a documentare, al Mart di Rovereto, la variegata e spesso intensamente espressiva produzione di «Arte e Fascismo», con molti esempi, anche desueti, mi rendo conto, casualmente, che di Poidimani non ho notizie né opere, e non lo ricordo presente in nessuna mostra sugli anni Trenta. Rimosso, cancellato, sparito. E, pure, come vedo, non invisibile. Mi tornano alla mente i casi di Domenico Rambelli (1886-1972), alla cui resurrezione ho contribuito, controverso autore del monumento ai caduti di Viareggio, o di Mario Cecconi di Montececon (1893-1980), di cui Francesco Sapori nel 1949 scriveva (ricordo a memoria): «Ritrattista gagliardo e potente, si sono perse di lui tutte le tracce»...

Vale per Poidimani. Faccio una rapida ricerca. Scopro che Biagio Tommaso Poidimani è nato nel 1910 a Rosolini (Siracusa) ed è morto a Roma nel 2001. Con altre sculture monumentali, Il Partente diventa Monumento al Reduce, in bronzo, in piazza IV novembre a Sortino, ed è documentato nella fototeca Zeri. Pace all’anima sua.

Un altro caso, emerso dopo gli studi di Andrea Iezzi, è quello del ravennate Domenico Ponzi, scultore attivo ad Anticoli Corrado, chiamato alla mostra del Mart, ma respinto da formalistiche riserve di una funzionaria di Soprintendenza, che non nomino per misericordia, la quale pretende di spiegare a sue ben più autorevoli colleghe le regolette insensate che le consentono di impedire il prestito della mirabile Madre, certamente delicata ma non intrasportabile. Una sottrazione di conoscenza che abbiamo compensato con alcuni gessi nella disponibilità del sensibilissimo figlio dello scultore, Piero Lorenzo.

Dopo la grande Madre, in gesso patinato al Museo di Anticoli Corrado, in marmo al Palazzo delle Poste di Grosseto, forse la più autentica maternità, in tutto michelangiolesca, emerge un’altra opera sorprendente che rivela come anche durante il fascismo, per uno scultore sensibile come Ponzi, la prepotenza del maschio sulla donna, equivocata oggi in «patriarcato», fosse inaccettabile. La scultura La forza bruta è un gesso potente che, nonostante l’evidenza del contenuto, doveva disturbare Ponzi per la bestialità del maschio. Per questo fu mutilata, eliminando l’uomo. Lo scultore aveva concepito la trilogia Passato, Presente, Avvenire, associando al passato la forza bruta che soverchia il debole, identificato nella donna. E rivelò così il suo disprezzo per la violenza di genere, propriamente fascista. E con ancora maggior indignazione, sul finire degli anni Quaranta, Ponzi distrusse proprio la figura maschile, alta più di tre metri, della quale il modello era un campione di canoa. Del grandioso gruppo rimangono la delicata figura femminile costretta in ginocchio, e il volto del maschio che porteremo in mostra. Il fascismo manifesta anche le sue contraddizioni.

Ma, nel caso di Poidimani e ancor più di Ponzi, il linguaggio classico, perfino l’enfasi rivelano umanità e sentimenti autentici che si manifestano compiutamente nella integrità della forma. La fragilità e la frammentarietà derivano dal dubbio, dalla fine di quelle credute certezze che ispiravano nobili sentimenti e compiute forme.

Lo avvertiamo con dolore, con scetticismo, gli stessi che portarono Ponzi a distruggere il lato negativo, ma necessario, della sua scultura originale. I frammenti sono come testimonianze archeologiche che non il tempo, non la storia hanno trasformato in reliquie, ma la volontà di chi ha sentito in sé crescere la crisi, il dubbio, in una coscienza diversa che cambia il rapporto con il mondo. Già prima della caduta del Fascismo, Ponzi sente il dolore e lo sgomento per la guerra; e lo vediamo nel malinconico ritratto di Maria, di ispirazione foscoliana, e nel gruppo del Pastore, raffigurazione di un uomo nudo che difende il suo unico bene dalla distruzione del bombardamento.

Umanissimo e vero, sempre, Ponzi è uno scultore intimamente classico e mai propagandistico, mai subordinato alla volontà della committenza.

Egli crede nella forma, interpreta autenticamente i valori plastici, come un antico. E indiscutibilmente, e senza ideologia, la sua più alta espressione di libertà creativa inizia con l’avvento del Fascismo. Il suo fascismo è legato alla verità del mondo contadino, alla semplicità della vita quotidiana, alla nobiltà del lavoro, riflesse nel “vero” della scultura.

Lo dice bene Andrea Iezzi: «Ciò che rende unico il lavoro di Ponzi è il suo rapporto con il mondo rurale (segnatamente quello di Anticoli Corrado): i contadini di Ponzi sono uomini e donne piegati dalla fatica e dalle necessità quotidiane che, modellati dall’artista, assumono la forma di eroi antichi, citazioni di una classicità del suo tempo. Ponzi guarda all’arte e alle avanguardie del Novecento rileggendole sempre alla luce del suo fare, alla cui radice è il classicismo ottocentesco di matrice naturalista». Così.

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