Con gli artigiani si fa il giro del mondo

Dai bijoux precolombiani ai tessuti ricamati nel Kashmir: sui banchi offerte per tutti i gusti

Marina Gersony

Nell’arco di pochi metri succede di tutto: un gruppetto di varesotti attempati con il costume tradizionale canta a squarciagola in dialetto sotto lo sguardo più o meno estasiato degli avventori (Gruppo Canterino Bosini); più in là, allo «Chalet Gabriele - Polentoteca», un esercito di affamati si fionda vorace su un’incolpevole polenta taragna.
Al piano superiore, peruviani vendono ponchi e sombreri con lo stereo che spara canti gregoriani a manetta (rischio sordità permanente). In fondo al corridoio, passando da un padiglione all’altro, s’incontrano chef ungheresi che preparano strepitose bombe caloriche, i «Kurtos Kalacs» al cioccolato, cannella, cocco o noci (in italiano «dolce della tromba»); mentre in un bistrot poco lontano bariste avvenenti da Mosca versano vino al miele a signori dallo sguardo bramoso con mogli e pargoli a seguito. E ancora: ristoranti pugliesi, siciliani, calabresi, lecchesi e altoatesini che si alternano agli indiani, francesi, turchi o libanesi, quest’ultimi offrono falafel, couscous e kebab mcburghizzati con tanto di patatine fritte. In giro per i corridoi bambini con il volto cosparso di ketchup; tedeschi con grembiuloni che servono wurstel & crauti; immigrati agghindati da businessman della city e sciure milanesi travestite da immigrate etno-chic.
Benvenuti all’undicesima edizione dell’Artigiano in Fiera, suddiviso nelle macro-aree dedicate a Lombardia, Italia, Europa e Paesi del mondo, per la serie evviva la globalizzazione e la multietnicità. Certo, la ressa è tanta, la confusione pure, senza contare le «fragranze» al curry misto a incensi dal Nepal e pizzoccheri valtellinesi che si sprigionano nell’aria. Ma per chi decide di abbandonarsi a questo trip globale senza andare troppo per il sottile, il divertimento è garantito. Ci si può sbizzarrire negli acquisti più disparati a prezzi (non sempre) modici, senza doversi catapultare dall’altra parte del globo. Vuoi mettere milleduecento euro per scaraventarti in Uruguay, dieci ore di volo sopra l’Oceano per comperare chincaglieria varia ai mercatini di Montevideo? Qui basta pigiarsi a mo’ di sardina nella Mm rossa e scendere a Lotto per trovare tutte le curiosità di bassa-media-ottima qualità del pianeta, Afghanistan, Bielorussia, Nepal inclusi: dall’artigianato dei Baltici alle sculture in legno della Val Gardena ai bijoux precolombiani della bella signora Carmen Gassmann, è un etno-tripudio a tutti gli effetti. Impossibilitati a segnalare i presenti al completo, ci limitiamo ad alcuni (a caso), come lo stand pluri-gettonato della vietnamita Thanny (Padiglione 9 - D 22) con sciarpe, borse e accessori elegantissimi e a ottimi prezzi; o gli splendidi cappotti in cachemire o cotone ricamati dal Kashmir (Turkish Bazar, Pad. 9 - A 15).
Gli amanti di specchi, piatti e cornici in rame e ottone potranno recarsi dal tunisino Khayati Hafedh (Pad. 1 - A38; B45) e gli estimatori dell’ambra dalla lituana Emilja Veilandiene (Pad. 8 - D28). Dai buffi cappelli finlandesi (Jari Makela, Pad. 8 - A 34; B 31) all'arte africana del gigante ivoriano Gueye Moustapha (Arte Ivoire, Pad.

1 - B53) alle valige in pelle di cammello (L'Art d'Essaouira. Pad. 1 - A 24; A 26), la scelta è immensa. Senza contare che la fiera è un'occasione d'oro per valorizzare le micro e piccole imprese italiane e del mondo. E per far girare l’economia.

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