Cinquant'anni sempre dalla stessa parte: quella dei lettori. Contro il conformismo dilagante, oggi come allora. Quella del Giornale è una storia che continua nel solco della propria tradizione e che esprime un pensiero libero, talvolta anche scomodo, destinato a far discutere. "Chi andava in giro con il Giornale rischiava di prendere le botte. Rispetto ad allora non rischiamo più le botte, per fortuna, ma è rimasto il fatto di essere considerati non dalla parte giusta della storia e della vita", ha ricordato il direttore Alessandro Sallusti durante l'evento organizzato a Milano dal nostro quotidiano. In un improvvisato ma riuscitissimo colloquio sul palco con Nicola Porro e Vittorio Feltri, il giornalista ha dialogato con i colleghi sull'identità della testata fondata nel 1974 da Indro Montanelli.
"IlGiornale è nel nostro dna, spesso è in certi circoli è considerato un marchio negativo averci lavorato", ha osservato il vicedirettore Nicola Porro. E Sallusti ha aggiunto un dato personale legato a una pagina decisamente negativa per la libertà di stampa nel nostro Paese. "L'unico direttore di Giornale arrestato in questo Paese sono stato io, per un reato inerente al lavoro di direttore. Lo stesso reato - omesso controllo - che in quel momento Travaglio, De Bortoli ed Ezio Mauro avevano commesso per altre circostanze. Continuiamo a essere nel mirino...", ha affermato il direttore. La riflessione si è poi spostata sul ruolo dei quotidiani cartacei in un mondo che ormai viaggia alla velocità dei social. Al riguardo, Sallusti ha offerto un inedito e apprezzato punto di vista.
"Lo strumento cartaceo mi rendo conto che è per certi versi non è molto moderno. Ma le idee dei giornali che hanno una chiara identità continuano comunque e i dibattiti sui social cominciano da quello che si scrive sui giornali, che quindi rappresentano ancora l'agenda del Paese", ha argomentato il giornalista, secondo il quale "mantenere la carta stampata è fondamentale, perché sia in televisione sia sui social è il brand del giornale garantisce l'autorevolezza". Di seguito, una riflessione pronunciata proprio mentre nella sala del Circolo Filologico Milanese entrava - tra gli applausi - Vittorio Feltri. "Noi quando parliamo del Giornale ci riferiamo sempre a Indro Montanelli e tutti noi ci inchiniamo a lui, ma questo quotidiano non sarebbe arrivato a oggi senza Vittorio Feltri, perché lui prese un'eredità impossibile e raddoppiò le copie del grande e inarrivabile Indro".
Sul palco, ecco dunque riunita una triade giornalistica di tutto rispetto: Sallusti, Porro, Feltri. Accanto a quest'ultimo, il ricordo offerto da Sallusti diventa ancora più spassoso: "Feltri mi propose di lavorare con lui a una sagra di paese davanti a una salamella, ma mi disse: 'il giornale bello lo facciamo domani, oggi facciamo quello che vende'...". Giù applausi. Tocca quindi a Vittorio offrire la propria testimonianza sulla storia del quotidiano arrivato ora ai suoi primi 50 anni. "Dopo Montanelli ero convinto che avremmo chiuso il giornale, invece il giorno in cui Montanelli si fece fotografare alla festa dell'Unità pensai: abbiamo vinto. Presi quella foto e la misi in prima pagina: 'ecco che fine ha fatto Montanelli'. Tiè. Quindi devo ammettere che non c'è stato un eccesso di bravura da parte mia, ma fin da piccolo sono stato assisito da 'sanculo', un santo protettore senza il quale non vai da nessuna parte", ha affermato Feltri.
Al Giornale - ha proseguito - "mi sono sempre divertito tantissimo. Gli altri giornali non avevano capito assolutamente nulla di Berlusconi. Nel 94 lui dichiarò di fondare Forza Italia e tutti lo deridevano, pensavano fosse una cosa stupida. E invece vinse le elezioni e io un mese prima scrissi un articolo in cui assicurai che avrebbe vinto. Siamo stati i primi in Italia a capirlo e questa cosa ha consentito al Giornale di avere un suo perché. Ora la situazione dei giornali è più complicata perché la gente guarda i telefonini". Infine un'osservazione di Feltri capace di unire la storia della testata al futuro. Quasi un'investitura. "Il Giornale fu fondato da Monatelli per andare contro il conformismo. Siamo nati così e credo che dobbiamo continuare a fare gli anticonformisti".
Il finale è scoppiettante. "Macron vuol fare la guerra? Quindi dobbiamo criticarlo".
Ma in quel momento in sala entra Matteo Renzi, amico e partner politico del presidente francese. Feltri gioca di rimbalzo: "Macron è il socio di Renzi in Europa? Meglio, quando si è accompagnati da un cretino si va più lontani".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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