Avverrà domani (giovedì 29 febbraio) al Circolo Filologico Milanese (via Clerici, 10 a Milano) l`esordio delle celebrazioni del Giornale per i cinquant`anni dalla fondazione. Sono previsti sette appuntamenti lungo tutto l`anno organizzati in sette capoluoghi diversi, con un evento centrale che si svolgerà a Milano il 25 giugno, data del primo numero firmato da Indro Montanelli nel 1974. Si tratta di appuntamenti a tema che avranno come protagonisti esponenti del governo, donne e uomini di scienza, imprenditori nazionali e figure preminenti del mondo culturale che di volta in volta verranno intervistati dai direttori del Giornale. È previsto anche l`intervento di figure storiche del quotidiano tra quelle che con Montanelli hanno partecipato alla fondazione. L`evento in programma domani ha come titolo «Il futuro dell`Europa», (qui il programma completo) un appuntamento di grande attualità soprattutto dopo l`esito delle elezioni in Sardegna, foriero di novità politiche che si potranno già misurare grazie alla presenza di Antonio Tajani e Matteo Renzi.
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Quell’ anno l’Europa finiva spesso sulla busta delle lettere. È un francobollo commemorativo che si trovava abbastanza facilmente. Costava 90 lire e lungo la filigrana si riconosceva il volto della figlia di Agenore, il re di Tiro, figlio illegittimo di Poseidone. La ragazza, violentata da un toro che incarna la potenza di Zeus, avrà una certa fortuna. Si chiama appunto Europa.
Nel 1974 questa Europa porta ancora il segno di qualcosa di mitologico. Non è un affare quotidiano. Non ti entra in casa. Non ne riconosci l’odore. La distanza lascia quel senso di magia e di leggenda. L’Europa, come ideale politico, era ancora un sogno vago di libertà, dopo l’oscurità delle due guerre, dopo la ricostruzione, nel bel mezzo di anni che stavano diventando di piombo. Era una identità ancora da immaginare. Era il monaco Isidoro Pacensis, il primo che parlò di «europei», quei soldati di Carlo Martello che a Poitiers fermarono i mori.
Era la religione laica, morale e spirituale, di Mazzini.
Erano Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni a Ventotene. Era la guerra suicida e l’alba del secolo americano, con la voglia poi di ricominciare, mattone dopo mattone, con i dollari del piano Marshall. Era la redenzione degli sconfitti, che guardavano oltre con i volti di Adenauer e De Gasperi.
Era un mercato comune come ambasciatore di pace, per cancellare secoli e secoli di soldati francesi, prussiani, inglesi, spagnoli, olandesi, scandinavi e, sì, anche italiani a contendersi il suolo metro a metro in nome della fede o della patria, o di una qualsiasi scusa per sputarsi addosso. Era perfino l’utopia positivista dell’EspeMinistro degli Esteri e segretario di Forza Italia Senatore È segretario e fondatore di Italia Viva Manager e presidente della Consulta di Forza Italia Alessandra Ghisleri Sondaggista e direttrice di Euromedia Research Amministratore delegato di Philip Morris Italia IManager e Capo economista di Intesa Sanpaolo ranto, lingua da laboratorio, geneticamente modificata.
Era la presunzione di voler ereditare l’universalità perduta del latino. Era un continente dai confini incerti e un Muro in mezzo a dividere due idee di mondo. Era Urss e Stati Uniti sul ring stabile della guerra fredda, rassicurante sotto l’ipotesi di una apocalisse atomica.
Nel 1974 nessuno in Europa votava per l’Europa. Le prime elezioni ci saranno cinque anni dopo. Il Giornale è una fuga, un cantiere, un’avventura che sta per iniziare, un’idea borghese in mezzo al caos, un gruppo di giornalisti che si ostina a fare giornalismo, con un peccato di impenitente aristocrazia e una vena dispettosa di anarchia, sicuri che se si va controcorrente da qualche parte si arriva. Ci credono eccome nell’Europa, ma a modo loro, e non sempre raccattano applausi, più facile ritrovarsi aggrappati a una ringhiera con qualche proiettile nella gamba e il vezzo di morire in piedi, guardando negli occhi gli assassini incompiuti. Se si guarda la prima pagina, quella con il saluto «Ai lettori», quella del primo numero battezzato il 25 giugno 1974, ci si rendo conto con un certo sgomento che magari cambiano i nomi ma le miserie umane bene o male sempre le stesse. Fanfani conta amici e nemici come accade anche adesso a Giorgia Meloni.
I «temporali in vista» non hanno nulla a che fare con pioggia o vento, ma scrutano un orizzonte carico di guai. Quanto pagheremo di tasse è una domanda senza fine. L’aliquota minima passa dal 19 al 20,9 per cento. Si fa notare che la tassa sul tè che da il via all’indipendenza americana è del 3 per cento. Altre sensibilità. Forse l’Italia chiederà altri prestiti, firmando cambiali che nessuno si preoccupa di chiamare, tanto per indorare la pillola, piano nazionale di ripresa e resilienza. La resilienza, in particolare, viene ancora espressa con parole piuttosto volgari. Il 1974 è soprattutto l’anno dell’austerity, quello delle domeniche senza auto, vissuto all’inizio come una festa, poi come il segno di una crisi globale che ti arriva a casa. Gli sceicchi hanno chiuso i rubinetti per strozzare Europa e Usa alleati di quegli israeliani che hanno vinto un anno prima la guerra dello Yom Kippur. Aggredita dall’Egitto, Israele conquista il Sinai.
Sono passati 50 anni e mancano
100 giorni alle elezioni in Europa. Il Giornale continua a interrogarsi sul futuro: sulla carta, sul web e faccia a faccia con i suoi lettori, come questa volta, a Milano, con i suoi ospiti e le sue firme. A domani.
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