"Già visto negli Anni di piombo". Allerta per i gruppi musicali estremisti che vogliono linciare la polizia

Testi che inneggiano alle stragi delle Brigate Rosse e che incitano a sparare "a bruciapelo sulla Polizia di Stato", il sindacato Sap protesta: "Negli anni 70/80 hanno portato a un clima eversivo"

Copertina dell'album
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"Rimani senza fiato/procrastina il reato/ma spara a bruciapelo sulla Polizia di Stato". Questo è solo uno dei passaggi delle canzoni del gruppo Autonomia Proletaria, band punk/rock che gravita nell'area dell'estrema sinistra extraparlamentare. Questa canzone fa parte di un album pubblicato quest'anno dal titolo "Autunno caldo", dove compare anche la canzone "Benvenuti in via Schievano". Per chi non lo sapesse, via Schievano a Milano è stata il palcoscenico di una strage compiuta l'8 gennaio 1980 dalle Brigate Rosse.

Un commando, quella mattina, a bordo di una Fiat 128 ha seguito un'auto civetta della Polizia di Stato, a bordo della quale viaggiavano il vice brigadiere Rocco Santoro, l'appuntato Antonio Cestari e l'agente Michele Tatulli, in servizio presso il commissariato di Porta Ticinese. Nel momento in cui l'auto della Polizia si è trovata bloccata nel traffico, i brigatisti hanno estratto i mitra e sparato contro la vettura con a bordo i tre poliziotti, uccidendoli all'istante e riuscendo a darsi alla fuga. Quello fu il benvenuto delle Brigate Rosse alla nomina del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa al comando della Divisione Pastrengo: nello stesso giorno, Milano fu invasa da un volantino esplicito: "Benvenuto al generale Dalla Chiesa". L'attentato venne rivendicato dalla colonna Walter Alasia e a bordo di quell'auto c'erano anche Barbara Balzerani, Mario Moretti e Nicola Gianicola.

"Da quando ho coscienza ti dichiaro guerra/Mercenario di Stato e mafia/Vorrei pisciare sulla bara di tuo padre, merda/Il giorno che hai deciso di fare la guardia/Ti senti pulito, ti senti protetto/Senza numero identificativo", "La linea di condotta obbliga vendetta/Facciamo un'ecatombe, spariamogli alle gambe", cantano quelli di Autonomia Proletaria nel brano sulla strage brigatista. Parole che inevitabilmente hanno scatenato la rabbia della polizia, in particolare del Sindacato Autonomo della Polizia di Stato (SAP). "Sono canzoni che istigano alla violenza, credo che abbiano una forte connotazione aggressiva molto pericolosa", afferma il sindacalista Stefano Paoloni, sottolineando che questo tipo di canzoni "le abbiamo già vissute tra gli anni Settanta e Ottanta e hanno portato un clima eversivo", sono "campanelli di allarme che non vanno legittimati".

Eppure, nonostante i continui gridi di allarme delle forze dell'ordine, per mera ideologia politica la sinistra parlamentare del nostro Paese non giustifica e tace davanti a certi comportamenti. Anzi, è accaduto anche che la violenza contro la polizia durante i cortei venisse quasi giustificata da millantati atteggiamenti violenti degli agenti. L'ultimo episodio è la manifestazione di sabato 5 ottobre, che in pochi a sinistra hanno condannato mentre Elly Schlein ha dichiarato: "Noi condanniamo ogni metodo violento e ogni azione violenta, ma in quella piazza c'erano tanti ragazzi che volevano semplicemente trovare un luogo dove manifestare per la pace e, per fortuna, è stata perlopiù pacifica, al netto degli scontri che ci sono e che comunque sono stati gestiti, anche se purtroppo con dei feriti". Alla fine sono stati oltre 30 i feriti della Polizia di Stato, alcuni gravi.

Eppure, le scene di guerriglia urbana e violenza estrema contro la polizia sono state sotto gli occhi di tutti. E quelle scene non sono molto distanti da quello che si canta in quelle strofe. "Abbiamo criticato le affermazioni di Elly Schlein", ha sottolineato Stefano Paoloni, perché "se la manifestazione è vietata è vietata, punto. E chi ha partecipato non doveva trovarsi comunque lì ed è complice dei violenti".

Quindi, ha concluso il sindacalista, "se anche chi ha un ruolo pubblico legittima queste situazioni, è facile che la situazione degeneri. Chi ha un ruolo deve assumersi la responsabilità delle proprie parole. Non tutto è legittimo, il fine non giustifica mai i mezzi".

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