Dario Cecchini: "Meglio vegetariano che la carne coltivata"

Il macellaio di Panzano in Chianti, simbolo della cultura gastronomica toscana nel mondo, è scettico nei confronti della carne coltivata: "Ognuno può mangiare quello che vuole ma vi prego con chiamatela carne".

Dario Cecchini: "Meglio vegetariano che la carne coltivata"

Era il 31 marzo 2001 quando il macellaio Dario Cecchini organizzò nella sua Panzano in Chianti (FI) il “Funerale della bistecca”. Erano i tempi dell’allarme mucca pazza. I macellai erano diventati in pochi mesi untori di un morbo minaccioso e il Ministero della Sanità aveva deciso di bloccare le vendite di carne non disossata. Così Cecchini ebbe la trovata di battere all’asta le sue fiorentine nell’ultimo giorno utile e di devolvere in beneficenza il ricavato in una cerimonia che ancora viene ricordata. Dopo il funerale, ci fu – per fortuna – pure la resurrezione. L’allarme rientrò, infatti, nel 2005, quando l’Ue pose fine al bando delle bistecche (e altre parti) che riguardava i suoi territori. Queste ultime ripresero a circolare con serenità, ma la vita di Dario da Panzano era già cambiata. Dopo il rito di Panzano, infatti, la sua fama crebbe: oggi l’Antica Macelleria Cecchini è un’istituzione anche nella ristorazione, e con il brand Carna, (tre ristoranti, Dubai, Singapore e Bahamas) Cecchini è diventato simbolo della cultura gastronomica toscana nel mondo. Nel 2018 ha raccontato al mondo la sua storia nella serie Netflix “Chef’s Table”, e mentre lo contattiamo si trova proprio nel Paese asiatico dove ha appena aperto il suo nuovo locale. Mentre si chiacchiera, cita i poeti fiorentini e pone questioni di etica. Ma in fondo si sente sempre un artigiano che ha imparato tutto dalla nonna Elina (“non sai come cucinava!”).

Cecchini, ormai si parla tanto di carne coltivata che potrebbe essere il futuro della nostra alimentazione. Rischiamo di celebrare un secondo funerale alla carne vera?

Lavoriamo per non farne un secondo. Il problema della mucca pazza fu dovuto a una cattiva alimentazione delle vacche. Se l’animale cresce bene e muore felice, la carne resta un grande patrimonio della nostra gastronomia e sopravvivrà. Noi artigiani della carne dobbiamo diffondere nel nostro lavoro la cultura del “buon mangiare”. Con i miei ristoranti nel mondo sto cercando di far passare questa filosofia. Il mio metro di paragone, però rimane sempre la nonna: non mangerei mai qualcosa che non mangerebbe lei.

Ma che ne pensa della carne coltivata?

Tutti quanti parlano di questo tema e ormai i cuochi sono diventati opinionisti. Ma vuole sapere la verità? A me non frega nulla della carne coltivata. Ognuno può fare delle scelte e mangiare quel che vuole. Io faccio il macellaio, stop. Non sono biologo, quindi non spetta a me dire se questo alimento faccia bene o meno. L’unica cosa che posso dire io è che non bisogna chiamarla carne. Se denomini carne un prodotto del genere lo fai per marketing, ok. Ma non c’è pure una legge che vieta di chiamare un alimento con un nome ingannevole per il consumatore? La carne prevede la macellazione dell’animale, se viene meno questo presupposto bisogna modificare pure il nome. La faccio semplice: se ti vendo una brioscia non posso chiamarla certo panino.

cecchini affetta

A Singapore dove la carne coltivata si può mangiare che aria tira? È molto diffuso questo tipo di consumo?

Sinceramente non ne ho idea e non mi interessa. Non ho fatto queste valutazioni quando ho deciso di aprire qua.

L’ha mai assaggiata?

No. Ma se mi capita non mi tiro indietro. Ho mangiato formiche e cavallette, posso provare anche la carne coltivata. L’assaggerei per curiosità, non per appetito. Se trovo l’occasione lo farò, ma, sinceramente, non me l’andrò a cercare.

Spesso lei viene visto un po’ come un macellaio sostenibile: attento al benessere degli animali e dei territori dove pascolano. Qual è un modello di allevamento equilibrato finalizzato ad abbattere le emissioni?

Secondo me è un problema culturale. Bisogna passare dal concetto di steakhouse a quello di cowhouse. La carne non è solo bistecca e filetto. La bistecca semmai è un simbolo, ma l’animale ha tanti pezzi che si possono usare. Se utilizzassimo tutto l’animale potremmo ridurre gli sprechi. Meno sprechi significa anche più spazi, meno animali da macellare e meno emissioni. Io seguo questa filosofia: i miei animali pascolano da 150 anni nel parco dei Pirenei. Sono liberi e vivono felici. Ma la loro morte è sempre un qualcosa di drammatico e non deve essere vana: noi macellai e chef dobbiamo onorare il sacrificio non scartando nulla.

Allora ci suggerisca un piatto da rivalutare con taglio meno comune.

Ti direi stinco di manzo, cotto a bassa temperatura che è la mia ricetta di Natale. Ma qui non si tratta di riscoprire un piatto, bensì di cambiare approccio, ripeto. Io sulla carne ragiono così, proprio come facevano le nostre nonne: cominciamo a usare l’ingegno per trovare il meglio in quello che consideriamo in peggio.

So che è uno scenario tetro per lei, ma questa domanda gliela devo fare. Se fosse obbligato a rinunciare alla carne, preferirebbe essere vegetariano o mangiare carne coltivata?

Vegetariano, chiaramente. Le spiego una cosa. Sono nato in casa a 10 metri dalla mia macelleria di famiglia.

Ma sono cresciuto a pappe al pomodoro e la prima bistecca l’ho mangiata a 18 anni. La nostra cultura è piena di piatti vegetariani buonissimi: legumi, panzanella, ribollita. Non avrei nessun problema a nutrirmi solo di questo.

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