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Anche il cappellano di bordo di Mediterranea Saving Humans don Mattia Ferrari sarebbe vittima dello spyware Graphite di proprietà della società israeliana Paragon Solution, perché «la notifica di minaccia ricevuta è simile a quella pervenuta a Luca Casarini dalla Meta». Il sacerdote, in passato vittima di minacce via social, sarebbe stato il bersaglio «di alcuni spyware operanti nel settore della sorveglianza a pagamento che hanno preso di mira persone in tutto il mondo», si legge nel sito della Ong che si occupa di salvare i migranti in mare. Ad avvertire don Mattia sarebbe stata appunto Meta, che avrebbe «rilevato le operazioni di spyware di otto aziende di Italia, Spagna ed Emirati Arabi Uniti, che forniscono le loro tecnologie alle autorità governative».
Non è ancora chiaro se a far partire lo spionaggio sia stata l’Italia attraverso una sua agenzia di intelligence o qualche Paese straniero. Nel comunicato di Mediterranea non si parla di Paragon ma genericamente di un malware «in grado di effettuare operazioni per raccogliere e accedere alle informazioni del dispositivo, alla posizione, alle foto e ai contenuti multimediali, ai contatti, al calendario, alle e-mail, agli SMS, a Telegram, Skype, Viber, Facebook, Instagram, LinkedIn, Signal, WhatsApp, e operazioni per attivare le funzionalità di microfono, fotocamera e screenshot», scrive ancora la Ong sul suo sito.
«Lo spionaggio digitale non ha investito solo attivisti, giornalisti, oppositori politici ma persino il cappellano di bordo di Mediterranea. Serve aprire un’indagine e desecretarne gli esiti, per sapere cosa si annida dietro questa grave violazione dei diritti civili e politici», tuona il vicecapogruppo di Avs alla Camera Marco Grimaldi.
Secondo John Scott Railton, ricercatore senior di The Citizen Lab dell’Università di Toronto che collabora con Mediterranea e con gli altri bersagli, nel mirino ci sarebbero altre persone oltre al centinaio di attivisti e giornalisti di 15 diversi Paesi dell’Unione europea, tra cui il direttore di Fanpage Francesco Cancellato, il manager di Mediterranea Beppe Caccia (indagato con Casarini a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina), tre attivisti sudanesi che si occupano del salvataggio di profughi nel Mediterraneo e il libico Husam El Gomati (di cui ha parlato più volte il Giornale), l’attivista che ha messo su Telegram i documenti di alcuni nostri 007 e che ha pubblicato le foto dell’arrivo in Libia del criminale di guerra Almasri dopo il mancato arresto disposto dalla Corte penale internazionale per un errore dei magistrati.
Qualche anno fa don Mattia Ferrari era diventato bersaglio di un account Twitter che attaccava le Ong. A minacciarlo sarebbe stato un ex vicecapo della Guardia costiera canadese, già assistente al Parlamento Ue e considerato una sorta di portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi, in contatto coi miliziani della guardia costiera libica addestrati in Italia.
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