Se c’è una cosa che mi rende particolarmente felice, è incontrare le “belle persone”. A volte capita per puro caso, come su un treno, in una cena con amici nuovi, alla posta, altre volte invece ne sono alla ricerca, vado incontro a delle situazioni che mi portano ad incontrare persone che stimo e che penso possano regalarmi qualcosa per la mia crescita personale, come uno scrittore alla presentazione del suo libro, o un regista che tiene un master sulla recitazione, o uno chef che vado a trovare nel suo ristorante per assaggiare la sua cucina. Tutto questo mi piace per un motivo fondamentale, essere stupito, di ciò che mangio, che sento, che guardo, che tocco, che penso. Gli incontri belli hanno la forza di cambiare il momento e di regalarti un punto di vista diverso dalle cose, possono cambiare una tua idea in un secondo, nutrirti, hanno la forza di aprire nuovi orizzonti. Ecco, l’incontro di oggi, con lo chef Giancarlo Morelli, ne è l’esempio. Bergamasco d’origine, uomo sognatore e artefice del suo destino.
Pomiroeu, ristorante oppure Osteria?
Nasce come osteria, anche se oggi è un ristorante a tutti gli effetti.
Cosa vuol dire oggi Osteria?
Se mi passi il termine, oggi dire osteria è un po’ radical chic. Sono rarissime quelle che possiedono ancora quella vera identità di un tempo. Le mura del mio ristorante ospitavano una vera osteria, si parla del 1849, esiste un documento che attesta il primo affitto proprio in quell’anno.
Giancarlo da ragazzo come si è avvicinato alla cucina e perché?
Perché volevo guadagnare due soldi mentre facevo la scuola alberghiero. Mi sono avvicinato alla ristorazione lavando piatti e pulendo trote, perché San Pellegrino Terme, dove facevo la scuola Alberghiera, era una zona di trote e le si cucinavano in tutti i modi.
Praticamente chiamasi gavetta! Pensi sia utile farla?
Utilissimo. Senza la gavetta non avrei avuto la capacità di comprendere la fatica di chi lava le pentole. o capire quanto il personale possa essere stanco nel portare avanti mansioni dettate da un obbligo più che da una passione, ma bisogna passare da alcune fasi, senza questi passaggi io non sarei quello che sono oggi, sarei forse un cuoco meno preparato.
Quando hai preso la stella Michelin e cosa hai pensato?
Il riconoscimento è arrivato nel 2008 e ho pensato che fosse l’inizio di una nuova vita. Però bisogna tener conto che i premi sono importantissimi e danno la forza di andare avanti con orgoglio ma il vero riconoscimento è quello dei clienti che ti scelgono e apprezzano la tua cucina, sono loro che ti danno la possibilità di crescere e che ti aiutano a restare sempre umile. Il cliente è l’arma vincente.
Hai mai avuto qualche cliente che ti ha detto che la tua cucina non gli è proprio piaciuta?
Si certo, chiaramente non è bello, però capita; il giudizio è democratico, per cui va sempre rispettato. In cucina si può anche sbagliare, se arriva una critica bisogna prenderla assolutamente in considerazione perché può e deve essere utile per migliorare e andare più in profondità nel lavoro, anzi ti dirò che la critica deve esserci perché ti spinge a fare delle riflessioni.
Quali sono stati i momenti più felici della tua carriera?
Corrispondono sempre a quando ho deciso di cambiare alcune cose, quando ho deciso di fare scelte nuove, come per esempio il cambio della cucina, avere preso un nuovo ristorante, avere appreso una nuova tecnica, sapere che un ragazzo che ha lavorato con te poi raggiunge il suo successo.
Quando eri ragazzo a casa tua si mangiava bene?
Si, molto, vengo da una famiglia bergamasca di fattori, con una mamma appassionata di cucina e che dava da mangiare a tanti e io spesso l’aiutavo.
Tua madre ti ha mai detto: io lo sapevo? Mi riferisco al tuo talento ai fornelli.
Più che altro mi ha espresso la sua felicità in caso io diventassi un cuoco. Tutti i genitori desiderano il meglio per i figli e lei credo sapesse che il meglio per me era stare in una cucina. Invece mio padre per me avrebbe voluto un altro destino, quello dell’ingegnere, a tal punto che mia madre mentre frequentavo l’alberghiero, raccontava a mio padre che studiavo ingegneria, la verità è venuta a galla appena ho deciso di aprire il mio ristorante.
Si è arrabbiato?
No, non si è arrabbiato, ma non mi ha nemmeno aiutato economicamente, mi ha detto: “Sai come si fa per aprire un ristorante? Vai da una banca, racconti il tuo progetto e chiedi dei soldi, se ti fanno un mutuo, lo paghi!”
È stato un modo per responsabilizzarti?
Sinceramente chi mi ha responsabilizzato è stato il lavoro, perché prima lavorare nelle cucine era molto duro, dovevi lavorare sodo e di certo si avevano meno diritti di oggi, sgobbavi e se non si fosse stati in grado di mantenere certi ritmi si sarebbe stati messi alla porta, per cui resistevano i caparbi e i volenterosi.
Tu come sei con il tuo staff?
Non sta a me dirlo, credo di avere un giusto equilibrio tra il pretendere e dare.
Qual è il futuro della cucina di Giancarlo Morelli?
Una cucina etica, che abbia uno sguardo vicino, al quotidiano, alla stagionalità. Faccio una parentesi…noi cuochi nel bene o nel male, con le nostre scelte facciamo tendenza, come la moda, quindi se per un periodo di tempo tutti i cuochi cucinano la rucola, sarà il periodo rucola, poi periodo carpacci, tutti a fare carpacci, poi i pomodorini, ovunque i pomodorini, e così via…ma le mode portano a forzare un sistema, attraverso allevamenti intensivi, agricolture forzate, perché alla domanda deve seguire l’offerta, ma a lungo tempo ci si è accorti che questo sistema non ha fatto bene a nessuno e che abbiamo perso il senso di tutto. Oggi a mio avviso bisogna essere etici! Cosa vuol dire? Vuol dire non avere scarti, vuol dire seguire la stagionalità, vuol dire anche spegnere il gas, l’acqua, la corrente se non serve, vuol dire anche rispettare i dipendenti, o chi ti porta semplicemente un uovo. Ma possiamo fare ancora di più e andare più in profondità e cioè pensare e studiare una cucina in grado di utilizzare materie prime più vicine a noi, come per esempio piante e fiori edibili, che crescono spontaneamente, nei boschi, nei campi, nelle profondità del mare. Chiaramente dobbiamo rimetterci a studiare e ritornare in qualche modo all’origine perché la natura ci può dare tutto ma noi non la conosciamo. Io ho una mia ex allieva, Valeria Margherita Mosca, che oggi è una grande esperta di foraging, cioè la pratica che consiste nel raccogliere ingredienti spontanei nel loro ambiente naturale, che mi aiuta,mcon la quale collaboriamo per portare a tavola tutto questo meraviglioso mondo.
Cosa vedi nel tuo futuro?
La realizzazione di un sogno, creare una fondazione legata alla cultura e all’identità del cibo, una fondazione con la missione di portare nelle scuole e nelle famiglie la giusta attenzione e conoscenza su cosa far mangiare ai più piccoli, una fondazione in grado di salvaguardare il pianeta quindi noi stessi.
Grazie per questa bellissima chiacchiera.
Grazie a te, perché le interviste si aprono e si chiudono a seconda di chi hai di fronte.
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