Lo definiscono uno "slancio di solidarietà" l'assalto alla volante della questura di Torino con la quale il pluripregiudicato marocchino, arrestato la notte tra il 27 e il 28 febbraio, sarebbe dovuto essere portato presso il Cpr di Milano. Accusano di violenza la polizia che, come si vede anche dalle immagini di videosorveglianza, è intervenuta per evitare la distruzione della volante. "Non potevamo permetterci di rimanere inermi", dicono mentre giustificano l'assalto per liberare Jamal, questo il nome del marocchino, dalla "violenza di Stato". E lo fanno mentre fanno leva sul tema oggi più apprezzato da antagonisti e sinistra: i poliziotti sono picchiatori.
L'assalto alla questura è stato solo una parte di quella giornata, che è cominciata con un tentativo di sabotaggio negli uffici della Asl, dove viene effettuata una parte della pratica burocratica necessaria alle operazioni di espulsione. Quindi, spiegano che "ognuno di questi tasselli è più vulnerabile di quanto non sembri", e "la sorpresa e la difficoltà degli sbirri nel dover gestire lo slancio di solidarietà di fronte alla questura ne sono la conferma". Rivendicano di aver messo in difficoltà la polizia, che non si aspettava un assalto, che nel loro linguaggio diventa, appunto, "slancio di solidarietà" e quindi ipotizzano la creazione di una rete per muovere più azioni di questo tipo. Jamal, il pregiudicato marocchino destinato al Cpr di Milano, viene definito "un nostro compagno, un nostro amico. Ha fatto questa strada con noi e non potevamo che tentare il possibile: inceppare il suo trasferimento in un Cpr".
E sarebbe stato destinato a quello di via Brunelleschi a Torino se, come rivendicano gli anarchici, non fosse stato sabotato dall'interno. "Bruciava e chiudeva grazie al fuoco dei ribelli. Quelle colonne di fumo che si stagliavano al cielo emanavano la forza di una rivolta", scrivono evocando un linguaggio da rivoltosi ormai scaduti. Accusano la polizia e accusano i media che hanno riportato la notizia, per altro supportata dalle immagini di videosorveglianza della sessa questura. Cercano di vittimizzarsi per far presa con gli amici rossi, e nel tentativo di cavalcare le polemiche contro la polizia spiegano che "gli aggressori (la polizia, ndr) diventano aggrediti e i professionisti della violenza (coloro cioè che della violenza istituzionale fanno la propria professione) passano per vittime (i poliziotti, ndr)".
È evidente che, così come gli studenti vogliono essere lasciati liberi di sfondare i cordoni di polizia, loro vogliono essere lasciati liberi di sfondare una volante della questura e di aggredire gli agenti, senza che questi reagiscano. "Spariscono i pugni in testa, le manganellate scomposte, le minacce, gli insulti", scrivono nel documento, "sparisce la radice stessa della violenza, quella dei meccanismi di potere e dei dispositivi di governance delle classi sfruttate", si legge ancora. Il che nel linguaggio loro e dei sostenitori vuol dire che quella violenza è legittimata e giustificata. Poi alzano il tiro, cercano sostegno nelle forze politiche e nella società civile che finora ha lapidato gli agenti: "I poliziotti non picchiano solo ai cortei, non colpiscono solo gli avversari di questo o quel governo. I poliziotti pestano tutti i giorni, per garantire a suon di botte che la società dello sfruttamento rimanga tale".
Dicono che su Jamal "è caduta più potente la brutalità della repressione perché ha scelto di lottare, ha scelto di organizzarsi". Ma la verità è che quel cittadino marocchino, per altro irregolare nel territorio italiano, ha alle spalle 13 condanne, di cui 9 passate in giudicato. E tra queste ce n'è anche una per violenza sessuale di gruppo. E fa specie che a difendere un soggetto simile ci fossero anche le donne, di quelle che alzano il pugno chiuso e a muso duro si definiscono transfemministe, pronte a scendere in piazza per le "sorelle" ma anche per difendere un uomo accusato di stupro.
"Il colpo e i colpi di oggi però non sono niente in confronto alla rabbia che abbiamo nel cuore e all’amore che arde questa lotta e ci lega alle compagne e compagni che troviamo lungo la strada", è la minaccia finale, che dà appuntamento per il 10 marzo a Milano sotto il Cpr di via Corelli al solito grido di "fuoco alle galere, fuoco ai Cpr".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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