Vincenzo Paglia è uno dei più celebri Vescovi italiani. Compirà 80 anni il prossimo aprile. È una delle persone più vicine a Papa Bergoglio. È il presidente della Pontifica Accademia per la vita.
Monsignore, cosa ricorda della sua infanzia?
«Sono nato nei giorni in cui si concludeva la seconda guerra mondiale. In un piccolo paese della Ciociaria: Boville Ernica. Mio zio era il prete del paese. Una vera autorità. In paese c'erano tre autorità: zio, il maresciallo dei carabinieri e il sindaco comunista».
Il sindaco era comunista?
«Sì, il mio paese era chiamato la Stalingrado della Ciociaria. Una volta mio zio andò a Napoli per parlare col consolato americano e chiedere che fosse concesso il visto ad alcuni paesani che volevano emigrare. Mi portò con sé. Ho un ricordo fortissimo di quel viaggio. Poi tornammo in paese e zio disse ai paesani: Tutto bene, però potrebbe venire un'ispezione, meglio che bruciate nella stufa le tessere del Pci».
La prima volta a Roma?
«1950, anno santo. Su un camioncino, nel cassone. Si viaggiava in piedi. Diverse ore, mica c'era l'autostrada. E poi in piazza San Pietro, grandissima, infinita, e a un certo momento il prete iniziò a recitare il Credo, con gli altoparlanti. Credo in Deum, patrem omnipotentem Mi sentivo piccolo piccolo, avevo appena 5 anni. Mi emozionai moltissimo».
Quando è entrato in seminario?
«Il 18 ottobre del 1955. Avevo 10 anni. Il 17 ottobre, alle sei del pomeriggio, mio padre mi disse che mi voleva parlare. Non lo faceva mai. Era chiuso come un uomo del popolo del sud. Avevo un po' paura. Mi chiese: Ma tu vuoi andare al seminario perché vuoi fare il prete o perché vuoi studiare? Se vuoi studiare è meglio la scuola di Frosinone del seminario del paese».
E lei cosa rispose?
«Papà, voglio fare il prete. Credo che fosse felice ma non lo disse».
In adolescenza non ebbe la tentazione di mollare tutto?
«No. Vinceva la vocazione, l'attrazione per la Chiesa».
Rinunciare all'affettività, diciamolo pure, alle donne, non è troppo difficile?
«È difficile, ma se ci credi ci riesci».
Rifarebbe tutto?
«Sì, nessun rimpianto».
Il seminario l'ha formata?
«Moltissimo. Quando sono diventato prete ero completamente diverso dal bambino che era entrato in seminario. Quella era una educazione che ti permetteva di modellare la vita. Oggi non c'è più questa ambizione: vince l'individualismo».
Cosa manca alla Chiesa per tornare attrattiva?
«Troppo rito e poca tensione per cambiare il mondo. Troppo conformismo. Oggi la chiesa aiuta la comodità, ti fa stare tranquillo, nel giusto, Non ti fa sentire il morso della storia».
Come si spiega la dilagante violenza fra i giovani?
«Il nostro è un mondo che non chiede più valori, gesti importanti. I ragazzi nel profondo se ne rendono conto, e reagiscono così. Loro vedono che questa società ha perso la forza unitiva».
Cosa manca a questa società?
«La convinzione che la felicità sta nel costruire la felicità degli altri».
Qual è la cosa della sua vita della quale va più orgoglioso?
«La pace che riuscì a far fare a Milosevic e Rugova. Tanti anni fa, nel 1999. Poi fu inutile. Vinse il guerrosimo».
Lei è felice?
«Si, lo sono. La felicità è una torta che dobbiamo mangiare insieme».
Chi è Dio? (e la prego: non mi risponda col catechismo. Cerchi di farmelo capire davvero)
«L'immagine di Dio che ho è quella del Padre di Gesù che non sopporta più il dolore e le ingiustizie che sono sulla terra. E manda il Figlio uomo tra gli uomini per salvarci dalla violenza del e dal male. Il Padre di Gesù è anche il Padre di tutti gli uomini e di tutte le donne. Questa convinzione mi fa ritenere tutti - proprio tutti miei fratelli e sorelle. E il Padre si comporta come uno che è più misericordioso che giusto. Per questo non mi fa paura».
Compirà 80 anni. Ha paura della morte?
«Certo che della morte ho paura. Come possiamo accettare che tutto finisca nel nulla? Il nostro corpo, l'anima, la mente, ogni parte di noi è creata per la vita, per la relazione, per desiderare e per pensare il futuro. Il Vangelo risponde a questo istinto dicendoci che Gesù è risorto e che noi risorgiamo con lui».
Esiste l'inferno?
«Esiste soprattutto in terra, oggi, con le guerre, le violenze, le ingiustizie, gli egoismi. È l'uomo che li crea, non certo Dio, l'inferno dipende dalla testardaggine umana di rifiutare Dio e di scegliere definitivamente il male. Mi auguro che sia vuoto».
Lei è stato vescovo di Terni. E a Terni è finito nel tritacarne della giustizia. L'accusarono di reati tremendi.
«Quando leggo di giustizia malata, di certa magistratura che non fa bene il suo lavoro, non posso non pensare all'assurda accusa di aver fondato un'associazione a delinquere. Niente meno! Debbo riconoscere che in realtà non fui mai rimandato a giudizio e dopo pochi mesi di indagini la mia posizione non solo fu archiviata, ma il giudice volle congratularsi con il mio servizio per il bene del territorio. Diciamo che ci fu una certa schizofrenia giudiziaria. Per me, una breve parentesi che non mi ha affatto impedito di continuare a lavorare al servizio della Chiesa e dei papi. Troppa gente, però, rimane vittima di meccanismi perversi».
Chi è Bergoglio?
«Bergoglio è l'uomo che la Provvidenza ha posto alla guida della Chiesa in questo momento storico, di profondo cambiamento d'epoca. È profondamente innamorato del Vangelo e dell'umanità. E non si risparmia di ricordare a tutti che Dio è anzitutto misericordia. E in tempo di guerre e conflitti è davvero il Papa che ci vuole».
Ma è un Papa di sinistra, comunista?
«Sinistra e destra sono categorie estranee, perché mondane».
Ha scritto un libro sull'intelligenza artificiale.
L'intelligenza artificiale, creata dall'uomo, non minaccia l'unicità di Dio?«Al contrario, sono convinto che sia necessario accompagnare le ultime frontiere della tecnologia e dell'IA perché, in quanto scoperte umane, ci rivelano ancora di più, gli enormi talenti che Dio ha posto nell'umano».
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