- L'Iran sembra pronto ad attaccare. Speriamo che il mondo non impazzisca, che qui sarebbe il caso di smetterla con tutte 'ste guerre.
- A fine olimpiade, possiamo dire - lo conferma Aldo Cazzullo sul Corriere (citiamo lui che non è brutto e cattivo come noi) - che il boicottaggio dei treni in Francia è stato opera degli “ultrà verdi”. Lo scrivo per un amico, di nome Maurizio Molinari, che pure qui aveva visto le ombre russe.
- Ecco. E ti pareva. A fine olimpiade Cazzullo torna a raccontare la storiella del “se sommassimo le medaglie dei Paesi dell’Unione Europea” saremmo la vera super potenza. Non è solo un’utopia sciocca, che non tiene conto di millenni di divisioni nazionali, guerre e sana rivalità, ma è pure tecnicamente sbagliato. Per dire: la finale di Volley maschile è stata tra Francia e Polonia, il che ha regalato al “medagliere europeo” sia l’oro che l’argento. Se gareggiassimo come Ue, tuttavia, avremmo ottenuto una sola di quelle due medaglie. Claro?
- Per FdI, Luca Ciriani dixit, la riforma della carcerazione preventiva non necessita di “particolare urgenza” e soprattutto va trattata “con prudenza”. E invece da Mani Pulite in poi, fino al caso Toti, la cronaca ci insegna che dovrebbe essere la prima e unica riforma da fare.
- Toccante intervista al figlio di Marco Biagi, intervista che avrebbe meritato più spazio sul Corriere della Sera di ieri. Soprattutto d’estate. Dice: “Tanta rabbia e amarezza” per lo sconto di pena a uno dei killer del padre “perché neanche di fronte ad un episodio grave, come un omicidio di stampo terroristico, si è riusciti a far scontare una pena fino in fondo”. È giusto che Lorenzo non abbia nessuna voglia di incontrare i carnefici del padre. Misericordiosi sì, stupidi no. Aggiungo che l’Italia è quel folle Paese che tiene in prigione o ai domiciliari innocenti in attesa di giudizio e fa uscire due killer, l’americano a Fregene e il brigatista, prima del tempo. È inaccettabile.
- Il messaggio dell’atleta afghana per le ragazze soggiogate dai talebani è bello, giusto, coraggioso. Ma alle Olimpiadi no: devono restare il regno del non politico o non ne usciremo più. Però dico però, il Cio dovrebbe fare qualche ragionamento: se l’Olimpiade vieta messaggi politici, allora è anche sbagliato sposare le tesi inclusive sugli atleti intersex ed è stato sciocco, come andiamo ripetendo da tempo, escludere la Russia per via delle sue azioni militari. Gli atleti, in tutto questo, non c’entrano nulla.
- Grande polemica a Vieste per il ragazzino fatto inginocchiare e poi picchiato di fronte ad altri coetanei. Orribile, sia chiaro. Ma andateci piano con le accuse a questa generazione di ragazzi senza valori. È sempre successo e, probabilmente, sempre succederà. Ve lo dice uno che ne è stato vittima. L’unica differenza è che adesso ci sono i cellulari per fare le riprese.
- Nicola Zingaretti apre a Matteo Renzi, pur ritenendo giusta la diffidenza verso uno che ha fatto e disfatto alleanze con mezzo Parlamento, compreso far cadere il governo Conte di cui Zingaretti era un notevole sostenitore. Questa apertura all’ex rottamatore deriva dalla condizione che “creare un’alternativa alla destra è un dovere democratico”. Ma è il solito errore della sinistra, convinta che il collante dell’anti (anti berlusconismo, anti salvinismo, anti melonismo) possa bastare per tenere insieme i cocci di una coalizione che non esiste. Perché sulle idee di base non hanno qualche differenza di veduta, come accade nel centrodestra, ma vere e proprie distanze incolmabili.
- Il presidente del volley italiano, Giuseppe Manfredi, spiega come l’Italia della Pallavolo sia riuscita a passare dalle precedenti delusioni all’oro olimpico: “Paola Egonu è sempre stata un fenomeno. Prima però c’erano le altre giocatrici, e c’era Paola Egonu. Adesso c’è Paola Egonu che gioca con le altre”. Aggiunge Velasco: "Paola è un personaggio (…). Le offrono le pubblicità, la invitano a Sanremo. Fa bene ad andare, però poi diventa una cosa difficile da gestire”. Chi vuol intendere, intenda. E cioè: aveva ragione chi ne criticava l'eccessiva esposizione. Più pallavolo, meno personaggio. E la medaglia è arrivata.
- Chi oggi si esalta per l’Italvolley “multietnica” forse dimentica che il mondiale di calcio del 2006 lo abbiamo vinto con Mauro Germàn Camoranesi in campo. Voglio dire: nello sport l’integrazione c’è sempre stata, il basket è da secoli che cerca di accaparrarsi italiani in giro per il mondo andando a cercare prozii con qualche trisavolo con passaporto italico. Non è questo il punto. Paola Egonu è nata a Cittadella da genitori nigeriani ed ha ottenuto la cittadinanza italiana anche senza Ius Soli. Lo stesso dicasi per Myriam Silla, nata a Palermo da genitori ivoriani. Idem con patate per Loveth Oghosasere Omoruyi. Sarah Fahr è nata in Germania e s’è trasferita qui per il lavoro del padre, eppure veste la maglia azzurra. Per non citare infine Ekaterina Antropova. La verità è che hanno visto razzismo lì dove non c’è mai stato. Egonu è stata criticata per le sue uscite, le sue accuse, il suo personaggio. Non per il colore della pelle.
- Nel giorno in cui si celebra l’Italvolley con fiumi di retorica inclusiva e un po’ femminista, c’è un’altra questione olimpica che fa andare il sangue al cervello. Quale? Allora. Nello sport esiste il “podio” dei tre migliori non perché realizzare quattro medaglie costerebbe troppo, ma perché nelle competizioni è giusto che uno solo vinca e tutti gli altri perdano. Può essere crudele, ma fa parte della vita. Qualche giorno fa facevamo notare che “partecipare” conta solo a livello amatoriale, ai Giochi della Gioventù, tra i bambini. I professionisti devono aspirare a vincere o, almeno, a migliorare il proprio personale. Non esiste “agonismo dolce” o “agonismo tossico”, solo la sana competizione in cui ognuno fa di tutto per battere l’altro e si dispiace in caso di sconfitta, senza disperarsi. In queste Olimpiadi di Parigi, visto l’elevato numero di fregature raccolte dai nostri atleti, i media si sono lanciati nell’elogio del quarto posto. Il mantra è sempre lo stesso: bisogna sapere accettare il fallimento, perdere può essere gratificante, l’importane è il percorso eccetera eccetera eccetera. Balle. Nello sport professionistico conta vincere. E vincere più possibile. Ecco perché è assurdo, populista e anche un tantino imbarazzante che il Quirinale - sempre attento ad accarezzare gli umori zuccherini del Belpaese - abbia deciso di invitare alla cerimonia dei medagliati olimpici anche chi la medaglia non l’ha ricevuta. La premiazione dei primi degli sconfitti farà piacere ai giornali, che tesseranno le lodi di Mattarella. Ma non è una bella immagine per lo sport e per la sana competizione. E poi che facciamo: tra quattro anni invitiamo anche i quinti classificati? Le olimpiadi sono per natura “esclusive”: uno vince, il secondo si accontenta dell’argento, il terzo del bronzo. Tutti gli altri restano fuori ed è giusto così. Perché “andarci vicino” conta solo a bocce.
- Tomaso Montanari predica ospitalità per i migranti pachistani, fa lezioncine a destra (e meno a manca) e poi scopre che - come dicono da tempi i conservatori - essere accoglienti va bene, ma non a tutti i costi. Ora che i pachistani nella sua università si sono lasciati andare a comportamenti inadeguati sia in mensa che con gli studenti, ha minacciato di togliere loro il sostegno se altri (il Comune) non interverranno per garantire loro alloggi e magari una doccia. Se allarghiamo il discorso, Tomaso non sta facendo altro che applicare il pensiero di Salvini e Meloni: giusto aiutare chi ne ha bisogno, ma ci sono dei limiti. Primo: chi viene accolto deve rispettare le regole del decoro e della decenza. Secondo: sarebbe il caso che altre istituzioni, vedi l’Europa, aiutino l’Italia. Benvenuto tra noi, Montanari.
- A Portofino, patria dei Vip, si scannano per l’aria condizionata. Il Comune vieta di installare i motori dei condizionatori ma alcuni se ne infischiano e altri fanno la spia. Alla faccia del riscaldamento climatico e delle battaglie green.
- Giuseppe Conte lo dice chiaramente: non si fida di Renzi. E fa bene. Quindi sorge spontanea la domanda: come possono essersi eccitati così tanto i giornalisti nostrani per l’ipotesi di un campo larghissimo sapendo che da Matteo a Angelo Bonelli nel mezzo ci sono più incomprensioni personali, se non vero e proprio odio, che prospettive politiche unitarie?
- La Stampa sostiene che “la novità” di queste olimpiadi sono i social che ci avrebbero reso tutti esperti di batteri e cromosomi. Balle. Intanto perché i social esistono da più di un decennio, dunque da almeno due edizioni dei Giochi. E poi perché siamo sempre stati un popolo di Ct e allenatori. Solo che adesso lo facciamo al cellulare, anziché al bar.
- Non abbiamo avuto modo prima, e dunque lo facciamo ora, di elogiare la finale di salto in alto tra Kerr e McEwen. Non per la qualità del gesto sportivo, di cui siamo totalmente ignoranti. Ma per la scelta di non condividere l’oro come fecero Tamberi e Barshim. Quella decisione, molto celebrata in Italia e all’estero, venne elogiata come spirito sportivo, di amicizia, di condivisione. Ma fu un errore. Lo spirito olimpico incoraggia a competere, non a dividersi l’oro. Bene hanno fatto i due saltatori a urlare “we jump”, saltiamo, anche a costo di commettere errori grossolani in misure che avevano già superato. Se ogni competizione olimpica seguisse le regole del salto in alto, non avremmo più finali per l’oro. Immaginate l’Italvolley e la nazionale Usa che, anziché giocarsi la medaglia fino alla fine, con un set a testa decidessero di fermare lì la partita e accontentarsi entrambe dell’oro condiviso.
Cosa diremmo? E se la finale di basket fosse finita in parità, perché giocare il supplementare e non far salire entrambe le squadre sul gradino più alto del podio? La verità è che la scelta di Tamberi e Barshim fu empatica, calda, mielosa, zuccherosa, ma con lo spirito sportivo non c'entrava un fico secco. Alle Olimpiadi conta la competizione. E quando si compete, uno vince e l’altro perde. Può apparire crudele, ma è la base di ogni sport. Altrimenti, che giochiamo a fare?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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