Radicano i piedi a terra, serrano le mandibole, cacciano la testa a sparire nelle spalle: non si capisce più dove inizi uno e finisca l'altra. Gli abbracci che tengono devono essere così. E il loro è un avvinghiarsi di resistenza, non di abbandono. L'acqua che accelera (...)
(...) attorno alle caviglie, poi sale a metà polpaccio, poi al ginocchio... E loro tre in mezzo, abbracciati, a maledire di aver pensato che quel fiume fangoso li avrebbe lasciati in pace, a pentirsi di aver sottovalutato quella gigantesca, placida pozzanghera. Sono piccoli come un puntino anche in tre. Prima di richiuderle nella stretta hanno allargato le braccia e misurato l'impotenza. Si saranno inseguiti in quelle onde ferme, con i passi incerti che si
mettono in fila su un fondale sconnesso. Schizzi, risate, qualche brivido a sole coperto, la pelle d'oca che increspa le braccia al passaggio delle nuvole, l'azzardo di continuare a camminare oltre il consentito. Quando si è giovani si pensa di addomesticare tutto. Hanno pensato di chiudersi a cerchio quando la favola di quella giornata perfetta si è fatta bugiarda, hanno pensato di abbracciarsi per contrastare lo schiaffo del destino. Con l'acqua che sale a metter paura, la corrente che ringhia aggressiva. Si sono uniti in un abbraccio che voleva essere un nodo. Per rimanere in piedi, per farsi forza, per darsi il tempo di resistere. Hanno smesso di guardare attorno e forse hanno iniziato a pregare in quella piccola fetta di incubo su cui hanno circoscritto l'orizzonte. Lo spazio è diventato troppo vasto per forarlo con uno sguardo. Hanno
scelto lo spicchio dell'acqua che ribolliva sotto di loro, non tutto intorno. Chissà cosa si sono detti mentre si stringevano, chissà se hanno pianto, pensato alle loro madri (i figli...
ci sono così tanti modi di perderli...), chissà se hanno osato una speranza prima di non riuscire ad afferrare la corda dei soccorsi. Si capiva anche a spiarli da lontano che sigillati a quel modo sapevano cosa chiedere, non a chi.
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