Può un dipendente essere licenziato in modo legittimo per aver compiuto atti eticamente esecrabili al di fuori del suo orario di lavoro? Stando a quanto stabilito di recente dalla Cassazione, la risposta a questa domanda è affermativa, a seconda ovviamente di quale sia la violazione compiuta. Con la sentenza 31866, dove è stato valutato un caso di violenza e lesioni nei confronti di un coniuge, si vengono ad esempio a verificare queste condizioni, contribuendo tale condotta a minare pesantemente la fiducia che dovrebbe sussistere alla base di ogni rapporto lavorativo.
Il giudizio della Suprema Corte era relativo a un procedimento penale nei confronti di un conducente di mezzi pubblici accusato dalla moglie di violenze, secondo quanto previsto dall'art. 572 CP: "Chiunque […] maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni".
L'uomo, ritenuto responsabile in via definitiva di maltrattamenti, violenza sessuale e lesioni personali, era stato condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione. Preso atto di ciò, il datore di lavoro dell'autista aveva deciso di sollevarlo dal proprio incarico, cosa che aveva spinto l'ormai ex dipendente a contestare questo provvedimento impugnando la lettera di licenziamento davanti a un tribunale. La sentenza della Cassazione è relativa a questo nuovo filone giudiziario, arrivato fino al suo terzo e conclusivo atto dinanzi agli Ermellini, dato che in primo e in secondo grado i giudici avevano respinto il ricorso dell'ex conducente.
La Suprema Corte ha in sostanza confermato quanto già determinato durante l'appello dai giudici, i quali avevano stabilito che il comportamento di un lavoratore al di fuori dell'orario di lavoro, oltre ad essere penalmente rilevante, può diventarlo anche dal punti di vista disciplinare. Il dipendente, infatti, oltre che svolgere le mansioni previste dal proprio contratto, ha l'obbligo di non assumere condotte che possano ledere l'onorabilità e la reputazione, per cui di conseguenza anche gli interessi economici, del suo titolare, anche aldilà degli orari di lavoro.
Quindi la Cassazione, si legge nella sentenza, "giustifica il licenziamento per giusta causa una condotta extralavorativa che integra un reato e che sfocia in una sentenza irrevocabile di condanna, caratterizzata, sia pure nell’ambito di rapporti interpersonali o familiari, dal mancato rispetto della altrui dignità e da forme di violenza e sopraffazione fisica e psichica, non sporadiche, bensì abituali. E ciò, a maggior ragione, quando le mansioni del lavoratore sono delicate – come quelle di un incaricato di pubblico servizio con costante contatto col pubblico – ed esigono un rigoroso rispetto verso gli utenti e capacità di autocontrollo".
Dunque un dipendente, ancora di più nel caso in cui il suo lavoro preveda il contatto quotidiano con altre persone, deve avere una condotta moralmente
irreprensibile anche nella sua vita privata: qualora ciò non accada, il titolare può ritenere spezzato il rapporto di fiducia e decidere di conseguenza e legittimamante di procedere con il licenziamento anche senza preavviso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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