"Non stop": da Troisi a Verdone, quando la Rai fabbricava comicità

Un format irriverente, privo di conduttore, incalzante. E con una concentrazione di talenti che mai più si sarebbe scorta nella storia del Paese

"Non stop": da Troisi a Verdone, quando la Rai fabbricava comicità
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La Renault 4 rossa accosta al marciapiede cigolando scomposta. Paletta alzata. Tocca consegnare patente e libretto, identificandosi. Nell’abitacolo si diffonde una qual certa agitazione. Il 1978, del resto, non è il più placido degli anni possibili se vivi in Italia. Il terrorismo è un presentimento che si è infilato tra le vite della gente con veemenza tellurica. Quello alla guida consegna i documenti, contemplando gli agenti con quel volto pingue e benevolo. Il carabiniere scruta la foto, poi lancia un occhio sul tizio: non c’è dubbio, è proprio Giancarlo Magalli.

Quegli altri due però sono usciti senza niente in tasca. Intransigenti, le forze dell’ordine chiedono di scendere e declinare le rispettive generalità. Magalli si muove convulsamente, cercando di spiegare che sono con lui, che è tutto a posto. Quello più alto e sottile si fruga tra i risvolti dei jeans ed estrae una tessera, reputandola salvifica: “Ecco, leggete qui”. È bianca, con un piccolo logo blu. Sopra c’è scritto “RAI”. Equivoco sciolto? Nemmeno per idea. Uno dei carabinieri la maneggia con cura, poi lo rintuzza: “Ho capito signor La Smorfia, ma questo non è un documento”.

Strano anno, il ’78. Tempo di timori dilanianti e reflussi di vitalità. La televisione pubblica esprimeva bene la seconda porzione di questo ossimoro. Giancarlo Magalli si era rivelato un formidabile segugio di talenti comici. Lo avevano incaricato di perlustrare mezzo paese per scovare quelli più cristallini. Allora era sceso al sud, dove si era imbattutto in questo trio esuberante. Si facevano chiamare “I Saraceni”. Formazione composta da Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo De Caro. Nome troppo meridionale per sedurre il target ampio di mamma Rai. “Chiamatevi invece La Smorfia”, l’ecumenico suggerimento.

Il programma andò in onda dal 1977 al 1979. Lo battezzarono “Non stop”, perché le parole sono importanti e queste ti restituivano il senso di una trasmissione galoppante, dichiaratamente ritmica, un esilarante flusso di coscienza orientato. Il suo manifesto era una crepa dichiarata negli schemi incrostati dell’ammiraglia. Tanto per cominciare non c’era il conduttore. Sperimentazione pura. Non a caso il sottotitolo che campeggiava a intermittenza era l’emblematico “Ballata senza manovratore”. Una tv aperta e circense, dunque. Largo alle esibizioni a getto continuo, ma con il faro della qualità.

Fare in modo che le idee non si appannassero mai spettava ai quattro illuminati autori che si disimpegnavano dietro le quinte. Magalli, appunto, ma anche Alberto Testa, Enzo Trapani e Mario Pogliotti. Un quartetto che riscrisse, in quegli anni abrasivi e addensati di preoccupazioni, una pagina intera della comicità italiana. Oltre a La Smorfia, a bordo salirono calibri come i Gatti di Vicolo Miracoli, i Giancattivi, Gasparre e Zuzzurro. Ma il format si ossigenava con una quantità di affluenti. Cabaret, musica e danza premuti dentro ad uno spassoso frullatore. Così la Rai rimpiazzava, con un una magistrale sequenza di colpi da biliardo, una generazione intera di signori della risata. I Sordi, i Tognazzi e i Manfredi facevano largo ai Troisi, ai Nuti e poi anche ai Verdone, agli esordi ma già rilucente, con le pupille perennemente rivolte verso l'alto.

C’erano Ernst Thole, che con lucido sarcasmo verso i giudicanti dell’epoca interpretava il ruolo di un omosessuale. C’era la surreale esibizione della cantante britannica Nancy Nova, sempre pronta ad irrompere sul palco per intonare la sua “Akiri non stop”, totalmente scritta in una lingua inventata. C’erano i comizi di Corrado Lojacono e la mimica facciale di Jack La Cayenne. Un fantastico caos, nato a dirla tutta inizialmente da una pensata di Pippo Baudo, desideroso di aprire le porte della Rai ad una carovana di nuovi talenti, in linea con la riforma della rete.

Ci volle molto poco a farlo diventare

un cult. Non durò troppo - è vero - come tutte le cose migliori, ma quell’inesauribile fucina di talenti avrebbe dominato generazioni intere a colpi di risate strappate. Quanto languono, oggi, quelle miracolose intuizioni.

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