La storia, ormai, la conosciamo tutti. Il video dove Massimo Segre elenca i tradimenti dell'ormai ex fidanzata Cristina Seymandi ha fatto il giro del web in pochissime ore. E nel torrido agosto cosa c'è di meglio di un pruriginoso gossip della Torino bene per rinfrancare gli animi? In poco tempo, però, persino questa banale (seppur spassosa) "vendetta" d'amore è stata riscritta dai censori dei social. È subito partita la levata di scudi di chi ha additato il malcapitato di violenza sessista. Nella smania di posizionarsi e di twittare, evidentemente facendo poco caso alle parole scelte, c'è stato persino chi lo ha accusato di revenge porn. Avete capito bene: parliamo del reato che si commette caricando contenuto VM 18 per vendicarsi del partner. Un dramma (vero) che colpisce moltissime donne (e ragazzine minorenni) ma che in questa storia non c'entra proprio nulla. Certo, la shitstorm non è mai piacevole ma non confondiamola con la violenza di genere.
La Seymandi si è subito resa disponibile a raccontare la sua versione dei fatti. E sui giornali sono abbondate le interviste. "Quel discorso è stato un gesto violento", ha commentato l'imprenditrice torinese al Corriere della Sera. "Mi ha ferita, con quelle parole ha fatto del male alle persone cui voglio bene. Una violenza molto pesante". Poi ha aggiunto: "E se fosse successo il contrario? Penso che tutti, a partire dai social appunto, avrebbero avuto una reazione del tutto diversa. Invece, io sono una donna. E allora è tutto differente". la Seymandi ha ragione: se fosse successo il contrario, la reazione dei social sarebbe stata del tutto diversa e soprattutto compatta. Lei sarebbe - da giorni - l'eroina del nuovo femminismo che si ribella al potere patriarcale e dà una bella lezione ai maschi-traditori che credono tutto gli sia concesso. Lui sarebbe il viscido che ha ricevuto quel che si merita dalla donna che fingeva di amare e che ha fatto soffrire; nessuno si sarebbe sognato di accusare la signora di essere una violenta né di accusarla di revenge porn o cyberbullismo.
Non vi sembra una storia già sentita? Lo è. È esattamente quello che è successo mesi fa tra Shakira e Piquè. Lei, stufa dei continui tradimenti e delle umiliazioni a cui era sottoposta, ha scritto una canzone diffusa in mondovisione per "cantarle" all'infedele compagno. In quel caso però nessuno ha parlato di violenza o sessismo. Anzi, sui social la cantente ha ricevuto stima, ammirazione e solidarietà. E questo nonostante si è vendicata pure dell'amante del compagno, etichettandola con termini svilenti e riproponendo il vecchio stereotipo delle "donnine" che si scannano per l'amore di un uomo. Non proprio un manifesto femminista. Eppure, in quel caso, le voci contro Shakira sono state poche, sovrastate dalla valanga di approvazione social. Nel nostro piccolo scandalo torinese, invece, si è subito gridato alla violenza di genere, al patriarcato, al sessismo. E sì: perché la traditrice in questo caso è donna. Un evidente doppiopesismo che non aiuta nessuno, per prime le donne.
Se poi si vuole discutere di quanto sia stato elegante o meno il gesto di Massimo Segre, è un altro discorso. Si può essere in disaccordo con la scelta, si può essere persone per cui la discrezione costituisce un valore e per cui i panni sporchi si lavano in famiglia. Così come si può empatizzare con un uomo tanto provato dalla sofferenza da considerare la pubblica umiliazione come l'unica consolazione. Per i primi sarà un "cafone", per i secondi un "grande".
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