"La mafia mi dedicò 70 chili di tritolo". Maurizio Costanzo aveva trovato la forza di raccontarlo come si fa con i brutti ricordi. Proprio lui, che da quell'attentato ne uscì vivo per miracolo. Da sempre in prima linea contro la criminalità organizzata, il popolare conduttore oggi scomparso divenne un'icona dell'antimafia televisiva nel momento più buio per il Paese. Quello delle terribili stragi di Cosa Nostra. Quello in cui esporsi in tv contro il piano eversivo dei boss significava rischiare la vita per davvero. E infatti il giornalista romano dovette realmente fare i conti con la ferocia criminale dei padrini, che per ben due volte provarono a ucciderlo.
Maurizio Costanzo e la lotta alla mafia
Costanzo infatti aveva scelto di parlare agli italiani della legalità e della forza dello Stato contro la mafia. Lo aveva fatto invitando più volte nelle sue trasmissioni il giudice Giovanni Falcone, del quale era amico. Nel 1991, dopo l'uccisione dell'imprenditore Libero Grassi a Palermo, il conduttore organizzò con Michele Santoro una maratona tv contro la mafia, iniziativa di straordinario richiamo mediatico che aveva coinvolto sia la Rai sia Fininvest. Memorabile e significativa fu la scena in cui Costanzo bruciò davanti alle telecamere una maglietta con la scritta "Mafia made in Italy". Un gesto fortissimo che avvenne alla presenza del giudice Falcone e tra gli applausi scrocianti del pubblico. Proprio quelle sue continue denunce anti-mafia, unite a interviste sull'argomento, provocarono le ire dei capi di Cosa Nostra.
Il primo tentativo di ucciderlo
"La goccia che fece traboccare il vaso fu un'intervista alla nuora di un capobastone importante. Io per tutto il tempo cercai di convincerla a lasciare la famiglia. Evidentemente era troppo per i mafiosi", aveva raccontato lo stesso Maurizio a Porta a Porta. Nel febbraio 1992, infatti, un gruppo di fuoco composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani venne spostato a Roma proprio con la missione di uccidere Costanzo, il magistrato Falcone e l'allora ministro Claudio Martelli. Non riuscendo a rintracciare questi ultimi, il gruppo pedinò per più giorni il giornalista, che venne seguito per alcune sere dopo le registrazioni del suo "Maurizio Costanzo Show". Ma quando il piano era pronto, il gruppo venne richiamato in Sicilia dal boss Salvatore Riina.
Maurizio Costanzo, l'attentato del 1993
Dopo quel primo tentativo di uccisione sospeso, Cosa Nostra ci riprovò. Nel maggio 1993 un altro gruppo di fuoco composto da mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille, in cui però non figurava Matteo Messina Denaro presente nella prima spedizione, arrivò nuovamente nella Capitale per colpire il conduttore. Dopo diversi sopralluoghi nei pressi del teatro Parioli, dove Costanzo presentava il suo show, venne rubata una Fiat Uno, riempita poi con cariche di tritolo esplosivo e parcheggiata in via Fauro. La sera del 14 maggio 1993, il popolare giornalista e la sua compagna Maria De Filippi escono dal teatro e percorrono un centinaio di metri a bordo di una Mercedes presa a nolo quella mattina e guidata da Stefano Degni. A breve distanza, una Lancia Thema con a bordo le guardie del corpo. Un boato squarcia il silenzio. L'esplosione provoca un cratere largo tre metri. Gli agenti di scorta rimangono feriti, il conduttore e la compagna sono miracolosamente salvi. Il tentennamento del malavitoso che aveva azionato la bomba (l'esitazione fu dovuta al fatto che il giornalista non viaggiava sulla sua solita auto), evitò la tragedia.
Da quel momento Costanzo visse sottoposto a un protocollo di protezione.
"Perché la mafia scelse proprio me? Io faccio il giornalista avevo molto parlato di mafia al Maurizio Costanzo Show e la mafia si è difesa. Arrivavano lettere con la mia testa in un vassoio, le mandavo alla Digos", raccontò il giornalista, grande e coraggioso testimone della recente storia del Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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