In passerella non sfila soltanto la moda. Sotto i riflettori c'è infatti molto di più. C'è un sapere tutto made in Italy che ancora oggi stupisce il mondo, mentre dietro le quinte scorrono avventure, suggestioni e leggende altrettanto sorprendenti. La letteratura che il palcoscenico dello stile ha messo in scena fa capolino all'evento organizzato a Firenze da Il Giornale. Tra aneddoti e analisi d'attualità, ne parlano Giovanni Landolina (Responsabile Industry Coverage & Lending di Banco BPM), Jacopo Majocchi (Global Merchandising, Buying and Planning Director dei marchi UCB e Sisley), Laudomia Pucci (Presidente della fondazione Emilio Pucci Heritage hub), Nicoletta Spagnoli (Ad Luisa Spagnoli). Le giornaliste Valeria Braghieri e Daniela Fedi moderano la tavola rotonda.
"La nostra è un'azienda fondata sulla meritocrazia e ha avuto sempre delle donne in primo piano", esordisce Nicoletta Spagnoli, che sottolinea come l'87% del personale sia femminile. Laudomia Pucci, figlia di uno dei più grandi sostenitori del made in Italy, racconta: "Ho avuto la fortuna di avere due giganti come maestri, sia in Italia sia in Francia. Avevano un modo di lavorare che ora non esiste più: era un mercato, quello di allora, molto diverso e un mondo del lavoro incentrato sulle sarte. Era quasi casa e bottega. Allora c'era una grande attenzione al prodotto e al cliente".
"Mio padre ha aperto la prima boutique negli anni 50 a Capri - prosegue Pucci - ed era molto importante. Dormiva nel negozio, vendeva e poi tornava a Firenze".
Nicoletta Spagnoli, invece, spiega quale sia la cosa più costosa per un'azienda: "In realtà tutto. La sfilita sicuramente: ti dà visibilità ma costa. Soprattutto per un brand come il nostro, che è tornato a sfilare dopo tanti anni, è utile perché fa vedere come ci siamo evoluti senza perdere la nostra identità e i nostri valori. Una sfilata rappresenta uno storytelling, ogni collezione, infatti, è una storia a sé".
Secondo Giovanni Landolina, invece, "sfilare costa tanto, ma dipende molto dalle location e dal tipo di sfilata. Anche perché, oltre ad essa, ci sono anche gli eventi dei quali bisogna tenere conto. Le sfilate di Dolce e Gabbana cambiano di qualche mese l'immagine di un territorio: c'è una grande bellezza e ci sono grandi investimenti. Il pubblico e il privato, prima ancora di mettere di mezzo la finanza, hanno tempi diversi però. Il privato corre, mentre il pubblico ha tempi più lenti. Nella settimana della moda una città come Milano può creare tante iniziative che oggi non ci sono ancora. L'indotto è mosso da aziende private e buyer. Anche la finanza, però fa il suo ed è dietro alle aziende perché noi le supportiamo. Sarebbe bello far sì che questo legame diventi più istuzionale ma è una questione di tempi. La moda corre: siamo passati da due a quattro sfilate. Certamente si può fare qualcosa di più".
Moda è anche tradizione. Passato che viene preservato e salvato. "Noi abbiamo il più antichio archivio privato del ready to wear - spiega Laudomia Pucci - e mantenerlo è difficile. Abbiamo creato dei set up di archivio, delle esperienze di lusso e lo facciamo per la manutenzione e la gestione dell'archivio. Ora abbiamo inventato un'iniziativa chiamata 'adotta un abito'. Lavoriamo con tre istituzioni: il museo tessile di Prato, un'azienda indiana di ricamo che ha una scuola di giovani donne, e delle mani incredibili a Pitti per il restauro della paglia. Ci stiamo dedicando a un grande progetto di restauro".
Nicoletta Spagnoli, invece, racconta del museo di famiglia: "Mio nonno era molto creativo e aveva inventato una macchina per cuocere gli spaghetti, perché era convinto che gli americani non lo sapessero fare. Quando questi erano pronti, scendeva il sugo. Era una macchina molto costosa, che però non ha avuto molta fortuna. Nel nostro museo c'è la foto di mio padre, piccolo, che sponsorizza questa macchina. Si tratta di creatività. Mio nonno aveva pensato a botteghe per gli artigiani affinché non spendessero troppo e a una piscina per i dipendenti. Aveva anche immaginto di affrescare le botteghe per renderle più belle". Tra i ricordi più importanti per Nicoletta Spagnoli, la foto di Kate Middleton con un vestito Luisa Spagnoli: "Ma non solo quello, che è stato una sorpresa perché l'ha acquistato a Londra, ma anche con un pullover. Lei rappresenta davvero bene il nostro brand".
"Noi ci riferiamo a una femminilità precisa, che ci rappresenta", prosegue Spagnoli. "Quando lavoro a una collezione cerco di rifarmi a ciò che le donne desiderano. Per noi è importante l'artigianalità, il gusto, lo charme e la femminilità. Tutti valori che portiamo avanti dai tempi della mia bisnonna. Delle volte le nostre clienti ci dicono che i nostri capi durano troppo, soprattutto la maglieria, ma questa è sostenibilità. Noi curiamo molto il prezzo, soprattutto ora che le persone non sono portate a spendere in beni come l'abbigliamento".
Jacopo Majocchi ha un approccio diverso: "La moda di lusso una volta era resiliente perché era una nicchia che parlava a una nicchia. Negli anni Sessanta e Settanta, si è allargata alla classe media e, quindi, è cambiato tutto. Bisogna creare un brand con un equity e un appeal. Lo hanno capito anche le aziende di fast fashion, che ora cercano di creare delle emozioni in chi acquista. Anche Zara fa così. L'obiettivo è creare un sogno nel cliente. I brand del lusso hanno avuto un grande rapporto di fiducia col proprio consumatore, che oggi è più consapevole, sceglie un prodotto con un rapporto qualità prezzo che soddisfa il proprio investimento".
"La moda è cambiata moltissimo - insiste Laudomia Pucci - oggi è un fenomeno consumistico, soprattutto col fast fashion". "Anche quest'ultimo - ribadisce Landolina - cerca una propria considerazione.
Nel mondo del lusso i prezzi sono aumentati molto, anche perché i brand hanno puntato molto sui nuovi ricchi. I marchi del lusso che vanno bene sono quelli che forniscono stagioni che durano più anni. Questo è un aspetto che il consumatore considera molto".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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